schermata-2018-12-22-alle-15-09-52

KAMILIA KARD

Kamilia Kard, con l’opera Sometimes I Feel Like That Inside of Me, è la terza artista selezionata per Digital Video Wall. Il suo lavoro sarà visibile in loop sul media wall di Metronom, fino a giovedì 3 gennaio 2019.

Sometimes I Feel Like That Inside of Me è un breve video sul rapporto, spesso conflittuale, tra spazio esteriore e spazio interiore, realtà e immaginazione, corpo e anima, calma apparente e tumulto emotivo. L’opera prosegue è un’indagine sull’utilizzo della modellazione e dell’animazione 3D per la costruzione di scenari della mente, in cui sogni e memorie si intrecciano a un’esplorazione dell’immaginario e del corpo femminile.

Metronom: Nel tuo lavoro unisci l’estetica tipica del web, i colori fluo delle animazioni e della grafica digitale, a numerosi riferimenti iconografici che appartengono invece alla storia dell’arte. Che ruolo ha e da cosa nasce questa contaminazione all’interno della tua ricerca?

Kamilia: Molto spesso quando realizzo un’opera traduco in forma attitudini, sentimenti e pensieri. La ricerca formale è molto importante nella pratica del mio lavoro e cerco di usare i linguaggi che possiedo senza pormi limiti di mezzo. Mi piace creare sia immaginari nuovi realizzati interamente da me sia contaminati da opere del passato. Per citarne uno, l’opera esposta alla Quadriennale di Roma 2016 , My love is so religious / the three graces dove il Martenudo dormiente e la Venerevestita e dal sorriso ironico di Botticelli (Venere e Marte) diventano la texture di un pannello 3D posto al centro della grande stampa. My love is so religious – the three gracesesplora il tema dell’amore di coppia, della sua relazione con il pettegolezzo e di come le nuove forme di comunicazione online veicolino più velocemente l’effetto gossip. In quest’ottica il dipinto Venere e Martediventa la chiave di lettura simbolica del concetto dell’opera, dal momento che il quadro di Botticelli racconta ironicamente e metaforicamente il presunto adulterio di Simonetta Vespucci e Giuliano de Medici (vedi Marco Paoli, Venere e Marte – Parodia di un adulterio nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, Edizioni ETS). Gli elementi intorno al pannello con la texture botticelliana, realizzati digitalmente, rappresentano il rumore, le delusioni e i disagi conseguenti alla relazione sentimentale.
Un altro esempio è Free Falling Bosch (www.freefallingbosch.org),in cui utilizzo le figure tratte dall’inferno del trittico Il Giardino delle Deliziedi Hieronymus Bosch per rappresentare in modo dinamico un disagio tutto contemporaneo: il senso di vertigine prodotto da un mondo in corsa perenne, da un mare di informazioni fruite in uno stato di infinite scrolling, da un’instabilità eretta a sistema politico, economico e sociale. I miei riferimenti alla storia dell’arte e la mia ricerca iconografica supportano culturalmente i concetti dei miei lavori creando un’unione tra passato e presente, tra linguaggi tradizionali e nuovi. Il mio interesse per un tipo di immagini classiche e “tradizionali”, che attingo dall’immenso archivio della rete, nasce quasi sempre da storie, memorie e fantasie personali.

 > Definisci “Sometimes I Feel Like That Inside of Me”, l’opera selezionata per Digital Video Wall, “un breve video sul rapporto, spesso conflittuale, tra spazio esteriore e spazio interiore, realtà e immaginazione, corpo e anima, calma apparente e tumulto emotivo.” Far trapelare la complessità del mondo interiore, ricorrendo all’estetica, più asettica, della modellazione 3D: potresti spiegare meglio questo aspetto del tuo lavoro?

Le composizioni realizzate con software di modellazione 3D hanno la capacità di essere surreali di natura. Luci artificiali, materiali sintetici, riflessi esasperati su superfici traslucide sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono a dare a questo mezzo un’estetica ideale per rappresentare stati emotivi o stadi onirici. La libertà di azione che una persona ha all’interno di scenari 3D va oltre i confini imposti dal mondo reale. Per esempio abbiamo il potere di annullare o alterare le leggi della fisica, disegnare ambienti dalle proporzioni irreali, cambiare il colore del cielo, creare terreni fosforescenti e ancora, ingrandire e rimpicciolire oggetti, persone, animali a nostro piacimento, far ballare il corpo di una donna senza testa, mani e piedi e molto altro. La soggettività unita al vissuto di ognuno di noi emerge dalla scelta di queste combinazioni, siano esse realizzate per gioco o per lavoro. Ad esempio in My love is so Religious – Rainbow dream, lavoro su un viaggio attraverso iceberg, steppe vulcaniche, cascate e geyser, ma anche sulle sensazioni e gli sguardi introspettivi, e sul rapporto tra vita reale e dimensione virtuale. I ricordi di viaggio si traducono in superfici 3D irreali texturizzate con le fotografie scattate in Islanda e manipolate digitalmente.Questo nuovo paesaggio sintetico diventa lo scenario in cui donne voluttuose senza gambe, braccia e teste trovano naturalmente il loro posto.
Nell’insieme del mio lavoro, Sometimes I Feel Like That Inside of Me prosegue la mia indagine sull’utilizzo della modellazione e dell’animazione 3D per la costruzione di scenari della mente, in cui emozioni e memorie si intrecciano a una esplorazione dell’immaginario, e del corpo, femminile. Come nei sogni, quando brandelli di immagini, esperienze e sensazioni che non siamo riusciti ad archiviare e a catalogare nella nostra memoria e estetica quotidiana, tentano di trovare un posto nel nostro inconscio deformando la percezione del reale.

 > Per rappresentare il corpo femminile, non ricorri alle immagini, che possono essere considerate tipiche di internet, legate alla ricerca della perfezione fisica, bensì alle Veneri Paleolitiche, i cui corpi imperfetti sono l’opposto della idealizzazione che vediamo quotidianamente. Questa scelta come influisce sul senso generale dell’opera?

Le mie veneri digitali nascono da una ricerca su una possibile archeologia futura (future archeology). Ipotizzando un futuro in cui la nostra società digitale collassasse e potesse essere necessario fare un rebootdi tutte le informazioni digitali archiviate nei diversi data centre, cosa resterebbe e cosa andrebbe perso? Quali ritrovamenti potrebbero emergere all’interno di quegli immensi archivi? II mio studio sul corpo della donna voluttuoso e morbido nasce dall’unione tra un passato paleolitico e un futuro immaginario in cui la rappresentazione sacra del corpo femminile del nostro passato – come la venere di Willendorf – viene riproposta come archetipo di un passato ipotetico archiviato online.
Nel mio lavoro Untitled, esposto questo autunno a Roma in occasione di Digitalive – Roma Europa Festival ho creato un ambiente immersivo VR, in cui lo spettatore si trovava all’interno di una piccola superficie desolata e completamente bianca (come i data centre) in cui si ergevano come sculture di un passato che deve ancora venire una serie di torsi femminili dalle curve morbide, alcuni dei quali presentavano delle usure o lacerazioni come delle rovine digitali. Fuori dall’ambiente virtuale, la scultura di una Venere digitale bianca stampata in 3D, in bassa risoluzione, mostrava delle imperfezioni analoghe a quelle dell’ambiente virtuale, causate da layers di stampa difettosi. La sovrapposizione a strati di una stampa 3D presenta un artefatto visibile che rende l’opera realizzata già corredata di una storia o periodo decifrabile che si può vedere a occhio nudo; come gli anelli dei tronchi d’albero o come gli strati della crosta terrestre.

 > Il tuo lavoro è un esempio di come l’estetica e i riferimenti al mondo di internet, considerato spesso effimero e privo di contenuto, siano invece uno strumento critico importante. Pensi possa esserci per il digitale un futuro verso una maggiore consapevolezza della potenzialità del proprio linguaggio?

Penso che ci sia un presente in cui le potenziali del linguaggio digitale sono già ampiamente riconosciute e utilizzate. Il mondo di internet sarà forse effimero, ma non è certo privo di contenuto, anzi: è un mondo di contenuti in ebollizione, di immaginari in continua metamorfosi, di idee che evolvono, di linguaggi che mutano, di relazioni pericolose tra individui, codici e macchine.

Kamilia Kard (1981)  è un’artista, curatrice e docente nata a Milano. Dopo aver conseguito una laurea in Economia Politica (CLEP) presso l’Università Bocconi di Milano, passa a studi artistici ottenendo un diploma triennale in Pittura e una laurea specialistica in Net Art all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Attualmente è dottoranda in Digital Humanities all’Università degli Studi di Genova. La sua ricerca artistica esplora come l’iperconnettività e le nuove forme di comunicazione online abbiano modificato e influenzato la percezione del corpo umano, della gestualità, dei sentimenti e delle emozioni. Ha esposto in vari luoghi tra cui i più recenti: Victoria and Albert Museum di Londra, EP7 Paris, IMAL di Brussels, Fotomuseum di Winterthur, La Triennale di Milano, il museo d’arte contemporanea di Sao Paolo, Brasile, La Quadriennale di Roma, Hypersalon Miami e il Museo del 900 di Milano. Recentemente ha curato la raccolta Alpha Plus – Anthology of Digital Art (Editorial Vortex 2017). Insegna Comunicazione multimediale all’Accademia di Brera, modellazione digitale all’Accademia di Carrara e Progettazione multimediale allo IED di Milano.

Cover image: Kamilia Kard, Untitled, VR experience, 2018

22/12/2018