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Through the Looking Glass

Testo critico di Marcella Manni, in occasione di ‘Through the Looking Glass‘, mostra tripersonale di Martina della Valle, Annabel Elgar e Baerbel Reinhard. (fino al 4 giugno in Metronom).


“…cominciò a guardare intorno e si accorse che ciò che poteva essere veduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessante, ma che tutto il resto era assolutamente diverso. Per esempio, i ritratti appesi al muro sembravano tutti vivi…”

Paul Klee, ancora nel 1924, ha ricordato come non siamo noi innanzi tutto a rivolgerci alle immagini ma come siano esse a rivolgere il loro sguardo su di noi, come quindi possano essere considerate un soggetto attivo. Parlare, scrivere e riflettere sulla vita propria delle immagini, quantomeno nella cultura occidentale, anche limitatamente all’ultimo secolo, deve dare per scontati molti studi, molti punti di vista, trasversali alla filosofia e alla storia dell’arte. Nel contesto del micro-cosmo di opere che la mostra Through the looking Glass presenta, le immagini possono senz’altro essere considerate a partire dall’intuizione di Aby Warburg “tu vivi e non fai nulla”. Per provare a fare un passo ulteriore, un passaggio sarebbe appropriato dire, si rivela utile riferirsi alla qualità di finzione, non a caso la parola preferita di Alice (attraverso lo specchio appunto) è “fingiamo”. Una finzione che non si definisce come contrapposizione alla realtà, però: la coppia reale/simulato non ha, quantomeno nella riflessione sulle opere di Elgar, della Valle e Reinhard, alcuna validità se si parla di un contesto di immagini. Il contesto contemporaneo ci dimostra infatti oramai quotidianamente come la virtualità di mondi simulati produca effetti e ricadute più che contingenti sul mondo reale e forse qui sta il passo ulteriore. Quindi, che passaggio ci fanno compiere queste immagini, che cosa può significare “attraversare lo specchio”? Facciamo un passo indietro: per Leon Battista Alberti si ha una immagine (simulacrum, per essere precisi) nel momento in cui un oggetto naturale mostra un minimo di rielaborazione umana; questa condizione viene cioè soddisfatta quando forme naturali con carattere che si può definire iconico (intrichi di rami, per fare un esempio) vengono rielaborate con l’impiego di cornici e piedistalli.

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Martina della Valle, Wabi-Sabi #2, 2015

Il Wabi-Sabi di Martina della Valle parte proprio da elementi naturali, rami, foglie, fiori che trovano nella resa della stampa a contatto, al pari di una cornice, la loro caratteristica iconica. Perfettamente aderenti alla natura, la dimensione di scala 1:1 è rispettata, sono altrettanto aderenti ai valori spirituali della ‘bellezza dell’imperfezione’: le opere di della Valle sono mutevoli, impermanenti e strutturalmente incomplete. Il paradosso della fotografia che “fissa” la continua e incessante trasformazione delle cose qui è sovvertito, la completezza, il momento di compiutezza si può avere sia nei fiori che sbocciano ma anche nei rami spogli o in una composizione floreale. La bellezza, e forse potremmo dire l’arte, si ritrova cioè in forma non convenzionale: in oggetti, situazioni che conservano una loro caratteristica di familiarità, ma che vengono trasformati o meglio sovvertiti. E in questo sovvertimento sta la circostanza fondamentale.

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Annabel Elgar, Specimen found in the trophy cupboard of Frosted fly fishing club, 2014

L’effimero e il nascosto sono il fulcro della serie Cheating the Moon di Annabel Elgar: Elgar affida a un oggetto, a una materia che ha carattere di evidenza, di prova, una sorta di ricerca delle proprie origini. Operation Lunar Eclipse è il nome della operazione federale avviata nel 1998 negli Stati Uniti per contrastare la vendita di frammenti di roccia lunare, precisamente dei 270 moon rocks (frutto delle missioni Apollo) che durante la presidenza di Richard Nixon sono stati donati ad altrettanti governi. Costruendo la variante di una indagine sotto copertura, Elgar crea una sorta di mappa di potenziali ritrovamenti di moon rocks dispersi, con precisi e studiati dettagli di contesto. Le immagini rivelano e nascondo allo stesso tempo dettagli del racconto, giocando sull’ambiguità positiva del concetto di finzione, intesa come uno strumento di creazione e di svelamento al tempo stesso delle immagini. La polvere di luna costruisce montagne, una roccia diventa l’oggetto di studio di un laboratorio di origami, finisce sotto la lente di ingrandimento di un ricercatore dilettante… e da qui a seguire, secondo uno schema libero ma minuziosamente coerente nei dettagli. L’immagine, nelle opere di Elgar compie un ruolo di costituzione di un ambiente culturale che va oltre la sola capacità rappresentativa.

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Baerbel Reinhard, Senza titolo, 2015

Natura, quindi, cultura a cui si aggiunge, quasi per dovere, tecnologia. Baerbel Reinhard realizza opere che sono apertamente tecnologicamente costruite: l’esperienza che si compie è quella che intreccia ciò che i nostri sensi ricevono, in questo caso lo sguardo che registra porzioni di paesaggio, e l’opzione costruttiva dell’immagine. L’elaborazione è sia a un livello materiale, la fisica sovrapposizione di immagini e la selezione di porzioni delle stesse, che intellettuale, la scelta di quali paesaggi combinare e sovrapporre. Punctum è la sintesi di questo procedimento, un segno minimo nella formulazione grafica ma potente e assoluto rispetto alle pertinenze. L’heimat, concetto familiare alla cultura tedesca quanto il wabi-sabi a quella giapponese, condivide la stessa mancanza di definizione univoca in termini linguistici ed è la sintesi, la dimensione performativa, quasi, dell’immagine. Come la scatoletta di sardine di Lacan, che luccica al sole di una spiaggia; il suo ‘ondeggiare’ alla luce del sole è il simbolo della capacità delle immagini di attirare lo sguardo, del loro essere molto più che semplici ‘cose’. Che cosa si trova (e si cerca) quindi attraversando lo specchio, secondo Elgar, della Valle e Reinhard (come forse per Alice)? Ambiguità, contraddizione e molteplicità, non certo somiglianza o identità. In un mondo in cui il ruolo delle immagini è accettato come dominante, le immagini stesse costituiscono un ambiente culturale da analizzare e da conoscere nella loro capacità di provocare se non il sovvertimento, almeno il ‘disordine’ del mondo.


Through the Looking Glass

works by Martina della Valle, Annabel Elgar, Barbel Reinhard

fino al 4 giugno 2016

Metronom, viale Amendola 142 – MODENA