Die Künstlerin Marit Wolters, smart materials satellites, Material als Experiment Ausstellung im Stahlhaus, Siedlung Dessau-Törten

DON’T MAKE THEM TELL YOU WHERE THEY COME FROM: conversazione con Marit Wolters

Metronom: Il titolo della mostra Don’t Make Them Tell You Where They Come From riflette sul processo creativo, e sulla relazione fra opera e realtà da cui questa è generata. Come pensi che i tuoi lavori si inseriscano all’interno di questa riflessione?

Marit Wolters: Le mie opere hanno origine e si formano attraverso la percezione ravvicinata dello spazio in cui vengono mostrate per la prima volta. Nella vita di ogni giorno la nostra percezione deve eliminare ogni stimolo a cui non è necessario reagire: se percepissimo consapevolmente ogni singolo dettaglio di ciò che ci circonda, il nostro sistema cognitivo collasserebbe per questa iper-stimolazione. Nelle mie installazioni site-specific gioco spesso con questa dinamica e quasi nascondo i miei lavori nello spazio. Le mie opere adattano forme che trovo nello spazio o usano i suoi materiali specifici. In Don’t Make Them Tell You Where They Come From i lavori, che sono stati realizzati in occasione di una mostra precedente, sono esposti in un classico allestimento da galleria, non vengono nascosti e non vengono posti in corrispondenza delle strutture spaziali. Questo porta alla domanda su quale sia il nuovo contesto in cui appaiono e quale sia la loro identità di opere d’arte. Tutti i lavori stati generati in un determinato contesto in circostanze specifiche. Questo si può ancora trovare iscritto nelle opere sia nella loro forma che nel loro materiale. Inoltre, il processo di trasformazione può essere rintracciato nella materia che trattiene in ogni singolo passaggio dell’evoluzione dell’oggetto originale. Si può vedere lo stampo originale, come è stato bruciato nel forno, lasciando tracce di cenere nel metallo (Corridor #1 e Corridor #2). O lo stampo in lattice, che è stato utilizzato più volte per la fusione, che inizia ad avere delle pieghe che vengono trasferite sulla superficie dell’opera (Lovers in Our Minds’ Eyes). In questo modo la storia della sua genesi è iscritta nel lavoro. Estratte dal proprio contesto originale, riconfigurate, le opere riportano ancora la storia della loro genesi. Allo stesso tempo, il nuovo display consente allo spettatore una prospettiva sconosciuta sulle opere che rende visibili diversi aspetti della loro identità.

M: Corridor #1, Corridor #2 e Lovers in Our Minds’ Eyes (2018) sono opere che riproducono elementi di architettura urbana, come tombini e griglie di prese d’aria, ma collocate in una posizione inusuale: ciò che è normalmente posto al suolo qui è appeso a un muro, e ciò che di solito è sul soffitto qui giace sul pavimento. Perché?

MW: Lovers in Our Minds’ Eyes ricorda un tombino e viene presentato sul pavimento della galleria. Il cambiamento di contesto modifica la percezione dello spettatore. Rispetto al raffinato pavimento in legno della galleria, la griglia appare grezza, rigida e testarda. Corridor #1 e Corridor #2 si trovano nel mezzo di pareti bianche, con poco materiale con il quale comunicare, mentre nel loro primo spazio espositivo avevano molti altri riferimenti con cui entrare in relazione. In questo modo vengono enfatizzate le caratteristiche specifiche degli oggetti; tutto gioca sullo scarto di percezione che avviene attraverso questi spostamenti.

M: Qual è la storia dietro a questi titoli?

MW: Per quanto riguarda Lovers in Our Minds’ Eyes, l’opera era stata messa in relazione con un tavolino da caffè viennese, nel suo primo allestimento. Il tavolino da caffè sembrava essere un estraneo in questo ex ufficio, proprio come la griglia che vi era appena stata inserita. Questa ha assunto la stessa materialità dei tavolini che sono diventati “amanti nella loro mente” (amori impossibili, NdR) perché erano così fortemente legati ma poiché erano su diversi lati dello spazio espositivo, non potevano toccarsi. Corridor si riferisce da un lato ai canali di cera trasformati in alluminio durante il processo di fusione, che formano il primo livello dei pezzi. Dall’altro lato, il titolo rimanda alla funzione originale delle griglie di ventilazione che essendo un via di passaggio e trasformano le pareti in cui sono collocate in membrane permeabili.

© Marit Wolters / Courtesy METRONOM

17/12/2020