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PARALLAX LAB

Generazione Critica: Come ha avuto inizio il progetto Parallax Lab?

Parallax: Parallax Lab nasce nel 2018 dalla visione creativa e scientifica del suo predecessore: the Light and Reflection Lab (2016-2018). Tutto è iniziato dall’impulso di tre studenti di fisica alla ricerca di prospettive che andassero oltre il loro specifico ambito di studi: sebbene la fisica sia, contrariamente alla credenza comune, un campo di studio molto creativo, si potrebbe dire che manchi di una visione più ampia del mondo. Temi etici, estetici e sociali sono raramente discussi all’interno di questi studi, mentre invece a nostro parere i campi di ricerca scientifica dovrebbero tenere in considerazione anche questo tipo di tematiche. La fisica inoltre tende a trasmettere una visione molto rigida della vita – una filosofia del vero o del falso, che lascia poco spazio a prospettive alternative e così facendo si tende a riferire e concentrarsi su questioni e problemi specifici piuttosto che all’ascolto di sé. Seguendo questi pensieri Light and Reflection ha messo le basi per cercare altri punti di vista.

Light and Reflection Lab era plasmato in due progetti in uno dei quali alcuni dei nostri membri erano attivi: l’Experimental Stage Project [1]e l’Open Class Berlin[2]. L’Open Class ha stimolato il laboratorio per una progettazione autonoma e con una gerarchia orizzontale, mentre Experimental Stage Project ha dimostrato come comunicare un pensiero scientifico attraverso un medium creativo, riutilizzando le risorse disponibili per la realizzazione di progetti.

Nel 2018, la Technische Universität Berlin ha sostenuto e finanziato il progetto per tre anni e questo è stato un grande passo. Durante quel periodo il team si è allargato e alcuni di noi che lavorano nel campo artistico si sono uniti al laboratorio. Presto ci siamo resi conto che concetti come “caos” o “astrazione” assumevano significati diversi per ognuno di noi. Da lì hanno preso avvio una serie di conversazioni e discussioni nella quali si cercava di capirsi vicendevolmente e lavorare tra le diverse discipline, consapevoli delle possibili “tensioni” che si sarebbero incontrate. In questo modo siamo arrivati al concetto di PARALLAX, in cui diverse prospettive coesistono all’interno di una visione unica.

 

GC: La collaborazione tra arte e scienza è dichiarata all’interno del vostro nome, come portate avanti la ricerca all’interno di queste due aree di studi differenti e come trovate uno spazio comune per lo studio, la progettazione e la realizzazione dei vostri progetti?

PL: Il termine Parallax (parallasse) descrive l’apparente differenza della posizione di un oggetto a seconda del punto di vista da cui lo si vede. In altre parole, la stessa cosa osservata da due punti diversi nello spazio appare diversa da se stessa. Nell’astronomia, infatti, l’effetto di parallasse è usato per misurare le grandi distanze, come la distanza tra la terra e un pianeta o le stelle.

L’obiettivo del laboratorio era quello di trovare diversi media con i quali arte e scienza potessero trovare una nuova soluzione formale… Questa esplorazione è iniziata nel tentativo di condividere e trasferire la metodologia di ricerca e di espressione tra le due discipline. Considerando i nostri diversi background, dalla fisica all’arte, abbiamo deciso di esaminare o colmare le differenze presenti nelle metodologie e nel pensiero, iniziando così a combinare la tecnologia con input critici attraverso conversazioni, sperimentazioni e workshop per apprendere/condividere competenze tecniche. Accanto alle competenze pratiche, cerchiamo costantemente di confrontarci su temi specifici, contribuendo a creare una visione multiforme che fonde i confini tra le discipline.

 

GC: il cuore della vostra ricerca è collaborare e creare comunità attraverso la fusione di diversi ambiti e conoscenze: come affrontate questi momenti di condivisione e di discussione? Puoi dirci di più sulle attività che organizzate regolarmente?

P: Nei nostri incontri laboratoriali, creiamo una cornice in termini di tempo e di spazio, ma siamo sempre aperti a incontri e condivisioni di nuovi materiali da discutere e analizzare. In generale può trattarsi sia di un progetto o di un lavoro in corso, che viene poi a svilupparsi nel corso del semestre di studio; in altri casi invece, ci troviamo per dei content meeting: un testo, un articolo o un argomento può essere suggerito da qualsiasi partecipante e avviare così una conversazione. Durante il lockdown abbiamo utilizzato la piattaforma Discord per incontrarci: sintonizzandosi è possibile sia partecipare attivamente come limitarsi all’ascolto.

Prima della pandemia eravamo abituati a incontrarci e a sperimentare utilizzando materiali diversi, spesso si organizzavano workshop tecnici, per esempio sull’utlizzo di microcontrollers o sul montaggio video. A questi workshop hanno preso parte anche artisti su nostro invito: per esempio il wotkshop Pankcake-coil Preparation è stato tenuto da Iona Vreme Moser[3] che ha introdotto ha introdotto la nozione di base della trasduzione elettroacustica per realizzare altoparlanti fai-da-te.

Abbiamo inoltre condotto Improbots: improvides robots, all’interno di Vorspiel 2019: Transmediale x CTM. Il workshop si è concentrato sulla demistificazione dei robot attraverso la creazione di robot improvvisati con qualsiasi cosa si trovasse nelle tasche, conciliando sia una ricerca teorica con una sperimentazione pratica.

Nella parte teorica abbiamo presentato una panoramica sull’elettronica (ad esempio, cos’è un circuito elettronico e come sono collegate le diverse parti) e abbiamo discusso del ruolo dei robot nella nostra vita quotidiana: cosa sono i robot e come ci relazioniamo a loro? Possono avere personalità o generi? E i generi che assegniamo loro riflettono determinati ruoli nella nostra società? Ad esempio, abbiamo discusso in modo critico di robot “domestici” come Siri, il cui scopo è risolvere i problemi e assistere gli utenti nelle loro attività quotidiane, utilizzando voci femminili per svolgere queste mansioni generalmente considerate “femminili”.

Nella parte pratica per noi era importante dare accesso nel settore della mechatronics a persone che non hanno o hanno poca esperienza in questo campo: i partecipanti potevano così costruire un proprio robot in poche ore usando dei materiali tecnici portati da noi e degli oggetti che invece portavano con sé. L’idea non era pensare troppo al processo, ma provare a sperimentare per scrollarsi di dosso ogni inibizione verso l’esplorazione e la costruzione di tecnologie.

 

© Improbots, Parallax Lab, Vorspiel, Transmediale, 2019, Berlin

 

GC: Parallax Lab vuole essere un laboratorio multidisciplinare: i vari programmi che offrite dimostrano un interesse per l’organizzazione di diverse tipologie di eventi o esibizioni. Nel 2017 avete fatto la vostra prima mostra ‘Shadow Bounderies’, potreste descrivere com’è andata quest’esperienza?

PL: Shadow Bounderies, organizzata in occasione del 48 Stunden Neukölln Art Festival, è stata un’esperienza davvero importante per noi: abbiamo ricevuto un riscontro molto positivo dal pubblico, che ci ha dato fiducia per continuare il nostro progetto. Le installazioni presentate racchiudevano l’idea dell’ombra, che per noi rappresenta la perdita della dimensionalità di un oggetto, ma allo stesso tempo una metafora dell’inconscio, dell’imperfetto e dell’indiretto; simboleggia un’opportunità per rivelare l’invisibile e comprendere l’intoccabile. In fisica, tutte le misurazioni che vengono eseguite sono indirette; il modo in cui comprendiamo la nostra realtà è attraverso le “ombre” delle cose che misuriamo, andando oltre i limiti della nostra percezione umana. Una delle nostre installazioni indagava proprio questo aspetto: abbiamo dimostrato i limiti della nostra percezione creando l’illusione di una cascata rovesciata. Le goccioline sembravano scorrere verso l’alto e solo dopo aver toccato l’acqua è diventato chiaro che non lo facevano.

 

GC: Nell’autunno 2021 Parallax Lab ha collaborato con Floating University, con il progetto ‘Soft Encounters’. Cosa sono i ‘Soft Encounters’ e su quali presupposti ha avuto inizio la collaborazione con altri spazi e organizzazioni attive a Berlino?

PL: Soft Encounters è un nome deciso in modo collegiale in occasione della collaborazione con Floating University[4]: il titolo è stato composto usando parole scritte da tutti i presenti su una scatola di pizza tagliata, utilizzando parole adatte al gruppo e alle opere esposte. Le varie opzioni sono arrivate a convergere su Soft Encounters che sembra descrivere in modo efficace il nostro modo di lavorare e collaborare: persone con background diversi si incontrano e imparano le une dalle altre. Invece di imporre una prospettiva dominante agli altri membri del gruppo, cerchiamo piuttosto di scambiare opinioni in modo “morbido”: mantenendo un orecchio aperto e includendo diversi punti di vista.

© Soft Encounters, Parallax Lab, Floating University, 2021, Berlin

 

Per noi collaborare è una contaminazione positiva quindi siamo sempre aperti alla collaborazione, incontri e nuove prospettive, attività o specializzazioni. Ogni progetto simile al nostro ha il suo cosmo di interessi e ha attraversato un proprio processo di formazione, le occasioni di scambio diventano fondamentali per ampliare la propria consapevolezza e conoscenza.

L’incontro a Floating University ha influenzato il nostro flusso di lavoro: è uno spazio che si muove nel confine tra naturale e urbano, dentro e fuori, con circuiti elettrici irregolari ma anche visite di diversa natura. Durante la nostra permanenza lì, abbiamo cucinato insieme, lavorato sui problemi elettrici e adattato l’infrastruttura al luogo. Questo ci ha dato l’impulso a sperimentare con sensori in grado di tracciare la temperatura, l’umidità, la luce o il vento; da queste sperimentazioni abbiamo poi creato un’installazione pensata come un parco giochi rotondo.

È stato anche a Floating University, all’inizio di quest’anno, che una di noi ha incontrato un membro del team di Generazione Critica!

 

GC: La performance ‘Noise Floor’ presentata al Transmediale 2020 utilizza una rete neurale artificiale per cercare nuovi suoni indagando la provenienza. Come si inserisce la musica nella tua ricerca e che tipo di risultati ha avuto la performance?

PL: Nel 2020 abbiamo ricercato e sperimentato molto con il suono. Scientificamente, abbiamo studiato le proprietà fisiche del suono, ad esempio come un’onda di pressione, inoltre abbiamo sperimentato con diversi microfoni e trasduttori. Dal lato teorico abbiamo letto e discusso vari testi sul tema del suono, come L’arte dei rumori di Luigi Russolo[5]. Durante questo periodo l’artista  Moritz Zeisner e l’informativo Martin Haug hanno sviluppato il progetto Noise Floor: un algoritmo di apprendimento automatico è stato alimentato con suoni di sottofondo della vita pubblica al fine di simulare “rumori artificiali”. La composizione ottenuta è stata poi eseguita dal vivo a Berlino.

Il tema del suono continua ad accompagnarci, infatti anche nella nostra ultima mostra Soft Encounters, abbiamo organizzato un evento sonoro in collaborazione con il collettivo Eigenklang. L’evento era composto da una sessione di ascolto di musica ambient e sperimentale e nuove sperimentazioni di jam session utilizzando microfoni binaurali.

 

GC: La vostra pratica è spesso performativa ma, come in ‘Reflection and Refraction’, o ‘Nitinol Solar Motor’, origina installazioni e oggetti. Come conciliate l’uso di mezzi diversi con una formalizzazione unica?

PL: Parallax è uno spazio per incontrarsi, scambiare, offrire una serie di strumenti da condividere all’interno del contesto dell’art:science. La formalizzazione di opere, siano esse performance, poesie, oggetti, suoni o installazioni, è qualcosa che avviene nel tempo, scelto o sviluppato sulla base di esperimenti, domande, ricerche, conversazioni e/o, in generale, interessi di coloro che cercano un arrivo alla forma.

Il Nitinol Solar Motor ad esempio, era un progetto dell’artista Friedrich Weber Goizel e dello studente Nishant Joshi, il quale portava avanti una ricerca sugli Autonomous Systems. Si sono conosciuti tramite Parallax e hanno sviluppato il prototipo del 2019. Per capire meglio la loro collaborazione Friedrich ci racconta qualcosa in più sulla sua esperienza.

“Il nostro progetto Nitinol Solar Motor è iniziato con il fascino per il materiale Nitinol. Inoltre, il mio piano era di costruire una “creatura” meccanica nello stile di Theo Jansen. Invece di usare la forza del vento come motore in questo caso avremmo usato il sole; dopo aver presentato il progetto a Parallax sono entrato in contatto con Nishant specializzato in robotica. Il nostro obbiettivo era quello di avere un oggetto con una sua autonomia ma per fare questo era necessaria un’alimentazione indipendente grazie all’energia solare. Abbiamo iniziato così a sperimentare con programmi e simulazioni fino ad arrivati quindi ad una soluzione che ci ha portato a quest’opera. Ci siamo conosciuti grazie a questo progetto e siccome all’epoca studiavo già robotica, ci siamo divertiti molto a scambiarci idee su progetti e argomenti in questa direzione.”

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Nitinol-Solar Motor, Friedrich Goizel and Nishant Joshi © Picture by Moritz Haase

 

GC: Quali sono i prossimi progetti a cui stai lavorando? Vi piacerebbe continuare a collaborare con diverse realtà dentro e fuori Berlino

PL: Abbiamo già dei progetti per il prossimo anno: insieme al collettivo tecno-femminista sWitches[6], abbiamo in programma di organizzare dei workshop sugli approcci performativi alla tecnologia e ai microcontrollatori, infine saremo anche coinvolti in project-sci.com[7]. Il nostro primo progetto congiunto sarà una mostra a Mall Anders [8](Laboratorio di apprendimento aperto per la scienza e la società), nell’ex centro commerciale di Berlino in cui verranno esposti degli oggetti hackerati all’interno della dimensione del centro commerciale.

Vorremmo anche sviluppare ulteriormente il nostro progetto di sensori, che abbiamo già presentato nella mostra Soft Encounters. ma pensandola per una nuova sede.

 

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Parallax è un laboratorio il cui obbiettivo è di costruire un’area di lavoro in cui i partecipanti possano sviluppare e costruire i propri progetti muovendosi tra diverse discipline. Il laboratorio si predispone quindi alla collaborazione tra diversi campi di indagini quali l’arte, la scienza e la tecnologia con l’intento di trovare intersezioni e nuove alleanze. I workshop, intesi come laboratori pratici e discussioni aperte, la scienza e l’arte sono rimaneggiate per far crollare le barriere che dividono diversi ambiti.

[1] https://xstageproject.com
[2] https://www.hybrid-plattform.org/news/detail/open-class-berlin/
[3] https://www.ioanavrememoser.com
[4] https://floating-berlin.org/de/
[5]  L’arte dei rumori, Luigi Russolo, Stampa Alternativa, 2009
[6] https://switches.cargo.site
[7] https://project-sci.com
[8] https://mall-anders.berlin

 

 

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21/12/2021