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#SPECCHIO: 30 Q’S WITH MARIA MAHFOOZ | MARIA MAHFOOZ

Nel 2018, il video artista e VP Joe Sabia, della sezione creativa di Condé Nast, dà vita alla fortunatissima serie 73 Questions With… per Vogue. Ogni episodio è incentrato su una singola celebrità, a cui vengono rivolte rapide domande – appunto 73 – e si svolge solitamente nelle loro sontuose dimore, dove Sabia segue le personalità dello spettacolo parlando da dietro la telecamera. Nel 2019, l’artista inglese di origini pakistane Maria Mahfooz si appropria del format ideato da Sabia e ne fa una parodia dal titolo 30 Questions With Maria Mahfooz (2019).

Nella sua versione, l’artista ha creato una rappresentazione digitale surrogata di se stessa e ha ambientato il video tra le strade di Manor Park, a Londra, cimentandosi in un atto di riformulazione e di rimessa in scena di alcuni stereotipi culturali a testimonianza della sua dislocazione identitaria. Le domande che Mahfooz pone alla sua controparte digitale sembrano inizialmente banali, ma si fanno via via sempre più personali per indagare forme di abuso razziale e i pregiudizi radicati nella società contemporanea, oltre a far emergere la dualità del background culturale dell’artista.
Se nei video di Vogue alla domanda “
can you show us around?” segue solitamente un tour della villa della star di turno, Maria Mahfooz ci porta tra le bancarelle delle attività commerciali di Manor Park, quartiere situato a nord-est di Londra in cui vive una folta comunità pakistana e bangladese. Il tono dell’intervista si fa più cupo quando la controparte digitale di Maria ammette la possibilità di essere vittima dei cosiddetti hate crime, e di come spesso riceva insulti razzisti a causa della sua cultura e del suo hijab.

L’artista utilizza una varietà di registri linguistici e l’ironia come strumento per parlare delle proprie esperienze di fronte alle barriere culturali che spesso le persone tendono ad erigere quando si trovano davanti a persone musulmane. Come afferma Maria durante un’intervista con Jyni Ong per It’s Nice That, “nel mio lavoro ricorro spesso all’umorismo, non solo per motivi di accessibilità, ma anche perché a volte è più facile raccontarsi all’interno dell’opera se la premessa sembra una sorta di battuta. Uso la satira come un modo per affrontare la sensazione di spaesamento che posso provare, quindi il lavoro a volte sembra più digeribile, ma genera comunque reazioni di incertezza sul fatto se si possa ridere o meno“.  30 Q’s With Maria Mahfooz si appropria della internet culture e delle pratiche di rappresentazione del sé per creare uno spazio di negoziazione in cui riflettere sul concetto di identità, cultura, società. L’avatar di Maria Mahfooz diventa specchio dei pregiudizi della comunità non musulmana ma allo stesso tempo una lente attraverso cui osservare modalità di autorappresentazione che utilizzano pratiche performative autobiografiche.

 

Maria Mahfooz
30 Q’s With Maria Mahfooz
, 2019
digital video, color, sound, 2’ 48”
Commissionato da DAATA Editions

05/11/2022