CLAIRE HENTSCHKER
Metronom: Claire Hentschker è la terza artista invitata a partecipare a Digital Deviation, l’edizione 2021 del progetto Digital Video Wall. Dopo Blurring Contour (2021) di Helen Anna Flanagan e Orb (2016) di Baron Lanteigne, presenti Ghostcoaster Reconstruction. Qual è la tua deviazione digitale?
Claire Hentschker: Rifletto spesso su cosa accade agli artefatti digitali che risalgono a prima di un disastro. Diventano oggetti multimediali a servizio della storia? Oppure dolorosi ricordi del passato? Mappe per la ricostruzione? Detriti digitali?
M: Puoi raccontarci di Ghostcoaster Reconstruction, il lavoro video che resterà in proiezione fino al 15 giugno sul video wall di METRONOM?
CH: Ghostcoaster Reconstruction ci accompagna su una pista di montagne russe andate distrutte nel 2012 a causa di un uragano e che ho ricostruito digitalmente. Il modello 3D del video è ricreato interamente a partire da video di Youtube girati sulle montagne russe prima della loro distruzione.
Nel 2012 un uragano si abbatté sulla mia città in New Jersey e le nostre amate montagne russe vennero scaraventate dal pontile di legno nel mare. Questa assurda tragedia catturò l’attenzione dei telegiornali e per giorni vidi le immagini della pista galleggiare impotenti nel mare. Alla fine dopo la fine della tempesta, squadre di demolitori iniziarono a rimuovere la pista pezzo dopo pezzo con le gru, e tutta la comunità uscì a guardare. Queste montagne russe non erano particolarmente grandi o belle ma erano talmente amate che prima della loro distruzione parecchie persone si fecero dei video su di loro e caricarono questi filmati su YouTube. Prima dell’uragano questi video non avevano nulla di particolare dal punto di vista dell’attrazione, fino a che non diventarono l’ultima testimonianza di cosa volesse dire vivere questa esperienza.
Per estrarre i singoli fotogrammi dai video pre-uragano su YouTube e creare un modello 3D digitale ho usato una tecnica che si chiama fotogrammetria. Sono riuscita a estrarre informazioni relative alla posizione della videocamera per il modello così da poter osservare come questa si muoveva nello spazio al momento delle riprese del video originale.
Ho messo insieme tutti questi frammenti per creare una prospettiva video digitale di una corsa sulle montagne russe che non esistono più, costruita a partire da riprese amatoriali. Ci sono parti mancanti, pezzi piuttosto strani, è un promemoria costante che si tratta di un simulacro e che non potrà mai restituire l’esperienza reale. E’ un disegno molto dettagliato di cosa manca.
M: In quanto artista digitale, fai uso di tecnologie sperimentali di creazione dell’immagine, come la scansione 3D, la fotogrammetria, per rielaborare set di dati recuperati casualmente (immagini, video, oggetti materiali) e trasformarli in rappresentazioni immersive di luoghi passati o immaginari. Come concepisci le due dimensioni del passato e dell’irreale, e dove secondo te si colloca la tecnologia? Le categorie di virtuale e di fisico sono pensate e percepite in opposizione nella tua pratica e nel mondo contemporaneo?
CH: mmm. Penso di ritenere il virtuale e il fisico tradizionalmente in contrasto. Ora più che mai noto che ci sia una sorta di invidia e di corsa al potere fra queste due categorie.
Soggetti potenti o che possono occupare spazio nel mondo virtuale sembra che non ricerchino più la validazione dal mondo fisico, mentre tutto ciò che è radicato nella realtà fisica mi appaiono come alienate e prosciugate dal mondo virtuale.
Penso inoltre però che l’arte digitale – grande e di ispirazione – in cui mi sono imbattuta recentemente distrugga questa dinamica e si serva di strumenti digitali per far comprendere il reale e viceversa. Nel mio lavoro cerco di imparare da questi esempi e costruire oggetti digitali che sottolineino l’assurdità e la bellezza inaspettata che può nascere dall’uso corretto e scorretto di strumenti fisici in spazi virtuali. Ci si aspetta che una fotocamera venga usata per fotografare qualcosa nel mondo fisico ma cosa succederebbe se si costruisse una fotocamera virtuale e la si portasse all’interno di un ambiente virtuale come un videogioco o un video di YouTube? Oppure se si applicasse la logica della fotografia del “mondo reale” alla fotografia di spazi virtuali? Si possono fare cose meravigliose come eseguire splendide fotografie di paesaggio dalla comodità della propria camera da letto!
A proposito del fatto che la tecnologia si trovi a cavallo del passato e dell’irreale, penso spesso all’incendio di Notre Dame. Un minuto dopo la fine dell’emergenza, internet sembrava determinato a usare la tecnologia per ricostruire la cattedrale così come era prima. Ho letto molti articoli che facevano riferimento alla estesissima documentazione che c’era di quel luogo e al fatto che la cattedrale fosse già stata digitalizzata in 3D per un videogioco. Come se questo potesse in qualche modo mettere indietro le lancette dell’orologio oppure “risolvere” un disastro che era già accaduto. Questo è un motivo ricorrente nel mondo della tecnologia specialmente legata alla ricostruzione 3D. Le persone vogliono riportare in vita i morti con degli ologrammi, animare dei volti di cento anni fa con il machine learning o anche catturare la gioia di assistere a un concerto registrando un video. Tuttavia cercare di estrarre qualcosa di fisico da qualcosa che è stato trasferito alla virtualità dopo il suo accadere, come una cattedrale o un concerto unici nel loro genere, ci fa rendere conto in maniera dolorosa che questi oggetti mediali sono diventati anche loro parte del passato. I mondi virtuali non sono risparmiati dal tempo e anche se gli oggetti possono essere più facilmente fruibili o modificabili se archiviati in digitale comunque invecchieranno e potranno solo mostrare ciò che erano un tempo.
M: Uno dei tuoi lavori più articolati, Merch Mulch (2017) è un progetto complesso e immersivo con una forte impostazione scultorea. Ciò richiede competenze specifiche oltre il processo creativo, potresti mostrarci come si costruisce la tua pratica in relazione a opere d’arte virtuali immersive?
CH: Certo! Anche in quel lavoro mi servo della fotogrammetria, questa volta per creare modelli 3D di centri commerciali. La fotogrammetria è una tecnica che misura la profondità a partire da una serie di immagini, e software speciali che realizzano fotogrammetrie sono spesso usati per creare modelli 3D di artefatti per l’archeologia, la costruzione di videogiochi che devono apparire molto realistici. Il beneficio dell’utilizzo della fotogrammetria rispetto alla modellazione tradizionale è che si inizia dal realizzare centinaia di immagini in primo piano dell’oggetto reale che poi vengono usate dal software per la ricostruzione dell’oggetto di partenza.
In questo lavoro ho deciso di utilizzare in modo sbagliato questo software specifico e al posto di realizzare immagini specifiche per la ricostruzione dei centri commerciali, ho manomesso dei video che ho trovato su YouTube fino a farli diventare fotogrammi e inserire questi nel software. Fintanto che c’era sufficiente sovrapposizione di dettagli tra un fotogramma e l’altro potevo prevedere dove parti di ogni inquadratura potevano esistere in uno spazio tridimensionale. Questo mi ha consentito di creare modelli 3D.
Parte del processo di fotogrammetria ci riporta una stima di dove la videocamera originale – e di conseguenza la persona che la manovrava – si spostava attraverso lo spazio che prima era ricostruito. Ho usato queste informazioni per inviare una videocamera virtuale a 360 gradi nel modello dello spazio seguendo lo stesso movimento della persona che aveva registrato il filmato originario.
Il risultato è un video immersivo che ci permette di guardarci intorno all’interno di uno spazio costruito a partire da un video tradizionale. Le aree vuote nel video sono parti che non sono mai state riprese dalla registrazione e quindi perdute per sempre perché tutti questi centri commerciali sono stati distrutti poco dopo le riprese per questi video.
M: Il tuo feed Instagram (@ntschk) brilla con la tua serie Bedazzles. A un primo sguardo sembra qualcosa di totalmente differente dai tuoi interessi di ricerca, lontani da queste luccicanti e deliziose creazioni. Ti stai divertendo con i social media o stai sviluppando un progetto coerente? Qual è la tua relazione con i social, ti interessano sia da un punto di vista creativo che di possibile archiviazione?
CH: Penso di doverlo ancora capire bene! All’inizio ero davvero entusiasta dell’idea assurda e intrigante di incollare a mano degli strass sintetici su pacchetti di patatine fino ad averli ricoperti completamente (e rispettando i colori!). La cosa più scontata degli snack, il rifiuto, così acquista valore e diventa qualcosa da conservare per sempre. Mi sono sinceramente divertita a regalare questi oggetti ad amici. Poi col passare del tempo e con il loro acquistare una fama imprevedibile sui social, specialmente su tiktok, ho iniziato a riflettere sempre più sul ruolo dei social media nella documentazione e romanticizzazione di oggetti e personaggi invidiabili. Non sono sicura di come la versione di me che crea quegli oggetti possa adattarsi alla mia pratica artistica digitale, ma sono entusiasta di vedere dove andrà a finire. Mi ha anche immerso nella cultura dei social media della prossima generazione in un modo che trovo molto affascinante.
Hmm ora che ci penso, rispetto al mio lavoro digitale i miei Bedazzles hanno una relazione inversa con il virtuale e il fisico. Questi oggetti fisici stanno guadagnando spazio online, mentre la mia pratica digitale di solito trova il suo punto d’appoggio in spazi fisici, come METRONOM! Penso che mi piacerebbe continuare a giocare e provocare questa relazione.
M: Siamo curiose di sapere qualcosa in più sulla tua formazione e se e come ha dato forma alla tua pratica? Ci sono esperienze professionali che hanno lasciato un segno particolare in te e nella tua arte?
CH: Ho avuto il privilegio di studiare con Golan Levin alla Carnegie Mellon University, un artista, un educatore e una persona meravigliosa. Il suo insegnamento ha avuto un impatto immenso su di me e ho incontrato tantissimi artisti straordinari mentre trascorrevo del tempo nello studio che gestisce chiamato “The Studio for Creative Inquiry”. Questo è servito come un hub interdisciplinare di studenti, docenti e artisti in visita che avevano tutti una vasta conoscenza tecnica all’avanguardia dei computer e hanno fatto la scelta attiva di applicarla alla propria pratica artistica. È stato davvero stimolante avere a che fare con loro da studente, specialmente in una scuola che altrimenti spingeva gli studenti verso lavori nel settore della tecnologia. È servito anche come fantastico promemoria che ciò a cui si applicano le proprie capacità è sempre una scelta attiva e non qualcosa da prendere alla leggera.
M: Come artista digitale, a volte ti rivolgi alla tradizione della storia dell’arte come punto di partenza per la tua ricerca. Stiamo pensando, ad esempio, ai tuoi esperimenti 3D nella generazione di immagini interattive di profondità a partire dalle stampe cianotipiche di Anna Atkins del XIX secolo. Come nasce questo tuo interesse e come hai concepito questo progetto?
CH: Penso che il mio amore per la storia dell’arte derivi dalla tensione tra la tecnologia e il passato a cui mi riferivo prima. Nel caso di quel progetto, stavo leggendo come Facebook genera mappe di profondità per le immagini al fine di creare rappresentazioni 3D nel browser. Il modo in cui questo viene fatto è caricando due immagini, una di una foto a colori che siamo abituati a vedere nel nostro feed e una di una corrispondente immagine in bianco e nero che non vediamo che funge da mappa di profondità. La profondità viene memorizzata nella seconda immagine tramite il colore, quindi Facebook sa come spingere parti dell’immagine con pixel più chiari verso di te nello spazio 3D e parti dell’immagine con pixel più scuri lontano da te.
Mi ha fatto pensare ai cianotipi perché funzionano in modo simile: qualsiasi oggetto posizionato tra il sole e la carta fotografica verrà catturato sulla pagina. Le parti più lontane dalla carta sono più scure e le parti più vicine all’immagine sono più chiare perché meno luce è stata in grado di colpire la pagina.
Mi sono resa conto che potevo convertire i cianotipi in immagini di profondità e quindi caricare la stessa immagine due volte e ottenere una versione 3D interattiva di essa. Sicuramente questo risale al mio desiderio di essere in grado di tornare indietro nel tempo e raccogliere un artefatto dal passato e manipolarlo con la tecnologia contemporanea in un modo che effettivamente aggiunge più informazioni all’artefatto. Purtroppo è raro che sia così ma, come ho detto prima, lo sforzo di quel desiderio è il catalizzatore di molto nel mio lavoro.
M: Quali sono i tuoi prossimi progetti e collaborazioni?
CH: Ho appena finito di insegnare la mia prima lezione, quindi la prima cosa che non vedo l’ora di fare è una buona notte di sonno. Dopodichè sto lavorando con alcuni archivi diversi nelle istituzioni per cercare di utilizzare i loro artefatti per scopi più poetici e meno pratici.
Claire Hentschker si descrive come un’artista che passa molto tempo online ma attualmente vive e lavora a New York. Si occupa di documentazione e creazione di nostalgia, detriti e prodotti della cultura digitale. Utilizza tecnologie sperimentali per la creazione di immagini, come la fotogrammetria e la scansione 3D, per trasformare dei set di dati recuperati in rappresentazioni immersive di luoghi ancestrali e spazi immaginari.
Il lavoro di Claire ha ricevuto grande apprezzamento da artisti del calibro di Björk, ed è stato esposto fra gli altri presso MUTEK, The Carnegie Museum of Art, Currents New Media Festival, NEoN Digital Arts Festival, the Peabody-Essex Museum. Le sue opere sono presenti nella collezione permanente del Fotomuseum Winterthur.
©the artist & METRONOM 2021
o9/08/2021