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CLAUDIA D’ALONZO

Generazione Critica: Guardando alla tua formazione e anche all’eterogeneità dei campi di interesse, quali pratiche ambientali e audiovisive, culture digitali e poetiche della corporeità, è possibile rintracciare un filo rosso che guida il tuo ruolo da ricercatrice e curatrice?

Claudia D’Alonzo: Un tema centrale è quello del corpo in relazione alle tecnologie. Mi interessa indagare come i media e le tecnologie generano forme dell’esperienza sensibile e incarnata, modi di abitare gli spazi, intesi sia come spazi fisici che virtuali, ambienti immersivi sonori e visivi o legati alle eredità del cinema espanso, che come luoghi di relazione e intra-azione tra entità umane e non.

Altra costante credo sia la propensione ad interessarmi a pratiche liminali ed ibride tra cinema, arti visive e musica, a fatti spesso non emersi o poco documentati della storia dei linguaggi artistici e delle pratiche legate alle tecnologie. Oggetti di studio che spesso richiedono strumenti di lettura e analisi interdisciplinari e pratiche che accadono non necessariamente all’interno degli spazi e i formati dell’arte contemporanea.

Questioni e approcci che riconosco in diversi momenti e tappe del mio percorso.

© Il corpo disseminato, ABA Brera, presso Careof, Milano 2022, ph: Diego Mayon

© Il corpo disseminato, ABA Brera, presso Careof, Milano 2022, ph: Diego Mayon

GC: In parte la realtà contemporanea del mondo dell’arte sembra essere predisposta ad accogliere operatori del settore che non hanno una linea distinta tra un impiego ed un altro, sembra che venga sempre di più a mancare una settorializzazione specifica a favore di una visione più diffusa dei ruoli. Cosa ne pensi di questa perdita di contorno delle professionalità tra curatore, insegnante, artista, ricercatore eccetera?

CDA: In parte penso che la molteplicità di inquadramenti sia un po’ costitutiva di certi tipi di professionalità e non solo del mio percorso. In particolare, chi si interessa di pratiche liminali per le quali spesso non esistono o sono molto scarsi dei contesti o dei formati ben definiti, lo fa spesso da indipendente entrando e uscendo da contesti diversi e mescolati come musei, arti performative, clubbing, terzo settore social, design, moda. E spesso contaminandosi molto con le scene culturali proprie delle città o territori nei quali si lavora. Una condizione dettata spesso da necessità – reperire sostegno economico piuttosto che trovare spazi nei quali organizzare o proporre contenuti. Di necessità virtù, chi si occupa di pratiche spurie credo impari a fare molte cose diverse e maneggiare registri eterogenei, anche all’interno di uno stesso progetto, dalla scrittura di un testo critico a quella di un bando, dall’allestire una mostra a fare un dj set.

Per quanto mi riguarda, dopo un po’ di anni e in questa fase nello specifico, i diversi ruoli rappresentano declinazioni diverse di uno stesso lavoro e che al momento rappresenta la mia perfetta ergonomia. Faticherei a delimitare la mia pratica in un unico contesto perché non credo riuscirei a trovare le molteplicità che sento necessarie per il mio lavoro e che mi nutrono attualmente. Almeno per ora mi piace questa condizione un po’ errante tra diversi linguaggi espressivi, circuiti culturali e pubblici, che posso costruire in modo indipendente ed è popolata di incontri e alleanze temporanee.

Ci tengo però a sottolineare che, di là del mio percorso personale, quella di articolare il proprio lavoro su più ruoli e contesti dovrebbe essere una scelta e non una modalità di sopravvivenza. Sappiamo bene che soprattutto all’inizio, fare molti lavori, pagati poco o affatto, è l’unico modo per mettere insieme un reddito. La precarietà e l’insostenibilità anzitutto economica del settore artistico determina delle disuguaglianze inaccettabili per le quali spesso la facoltà di scegliere come articolare il proprio lavoro e i ruoli è legata a condizioni di privilegio di provenienza e di classe.

GC: Dal 2019 collabori con il premio Lydia, iniziativa promossa da Il Lazzaretto di Milano. Da quest’anno seguirai come curatrice tutte le fasi del premio. Quest’esperienza è decisiva in quanto ti permette di avere un’osservazione sulla produzione contemporanea di giovani artisti italiani e quindi di poter ricostruire uno scenario collettivo. Come sta cambiando il premio e anche le tue scelte al suo interno contestualmente alle correnti e agli stimoli dell’arte contemporanea degli ultimi anni?

CDA: Dopo aver iniziato a collaborare al bando dalla sua seconda edizione come consulente nella progettazione della open call e come giurata, da quest’anno seguo la curatela sia della parte di call che nell’accompagnare l’artista lungo lo sviluppo della ricerca e nella restituzione pubblica dei suoi esiti presso il PAC, Padiglione d’Arte contemporanea di Milano. Quando Il Lazzaretto mi ha chiesto di essere coinvolta ancora di più nel bando ho riflettuto molto sulla possibilità di incentrare la call su un tema specifico o di interesse rispetto ai miei ambiti di indagine.

Poi anche grazie al confronto con la giuria, formata da Anna Daneri, Mariateresa Chirico, Davide Giannella, Gianni Moretti, Diego Sileo e Maria Paola Zedda, e con alcune delle artiste e artisti che hanno vinto o partecipato alle scorse edizioni, ho deciso di proporre non di individuare un tema quanto di trasformare il sostegno da premio alla produzione a premio alla ricerca. Con l’intento di rompere con una logica spesso legata ai bandi, sia quelli per artisti che più in generale quelli per progetti culturali, che richiede la produzione di pensiero e di output di volta in volta focalizzato su tematiche diverse. E si sa che molto spesso organizzazioni, artisti, operatori culturali in generale sono spinti a forzare la propria pratica e le questioni delle quali si stanno occupando per poter accedere a fonti di sostegno e rispondere alla richiesta di output e produzioni.

Questa trasformazione del bando mi è sembrata inoltre molto coerente con lo storico delle precedenti edizioni, durante le quali pur partendo da un’idea progettuale presentata nella candidatura è stata data massima apertura agli artisti di poter modificare in corso d’opera il lavoro, e più in generale con l’approccio della fondazione, in particolare nelle figure del presidente Alfred Drago e della direttrice artistica Linda Ronzoni, che infatti hanno accolto con grande entusiasmo questa trasformazione.

GC: Sempre considerando il tuo nuovo posizionamento all’interno del Premio Lydia a partire dall’edizione del 2023, quali sono gli obbiettivi che vorresti perseguire e come vorresti incidere nella curatela delle varie fasi del premio? Facendo riferimento anche alle esperienze passate del premio come si modula il dialogo tra i diversi mediatori e collaboratori?

CDA: Per le prossime edizioni l’intento condiviso con la fondazione è quello di valorizzare l’aspetto che evidenziavi, e cioè il fatto che attraverso il bando si abbia un osservatorio privilegiato sulla produzione e sui temi della ricerca artistica in atto tra autrici e autori emergenti o mid career.
Anche perché con molti ho poi occasione di incontro e scambio anche successivamente o a latere del Premio Lydia. Altra traiettoria di crescita futura è la collaborazione con altre realtà e istituzioni dell’arte e della cultura a Milano e su altri territori.

GC: I diversi campi di indagini in cui nel tempo ti sei specializzata ti hanno portato a prendere parte ad altre iniziative come INBTWN in collaborazione con Centrale Fies. Spostandoci dunque in quest’area tematica più specifica come definiresti il posizionamento e il contributo dello scenario italiano, sia dal punto di vista teorico che progettuale, in relazione alle attività europee ed extra europee?

CDA: L’incontro con Centrale Fies, è nato nel 2019 a partire da un loro invito all’interno del programma di formazione Trentino Brand New e ha preso una forma di collaborazione progettuale in occasione della pandemia. Da una condizione complessa e condivisa come quella che stavamo attraversando come mondi della cultura e dell’arte è nato un confronto in particolare con la direttrice artistica Barbara Boninsegna e la direttrice creativa Virginia Sommadossi, a partire dal comune interrogarsi pur da prospettive diverse e linguaggi diversi sulla corporeità.

Mi hanno chiesto di immaginare interventi e contributi di artisti, attraverso dei formati online ma non solo. Ho quindi ideato e curato la rassegna INBTWN che nella prima edizione è stata prevalentemente, ma non esclusivamente, web based. Per Fies credo sia stata un’occasione per espandere la propria indagine sul corpo in relazione a questioni meno presenti nel resto della loro programmazione legata alla rete e alle tecnologie, per me di sperimentarmi sul formato della curatela online.

Il sito è stato in parte uno spazio di presentazione di lavori nativi del web o ripensati per abitare la rassegna e in parte come uno spazio editoriale in doppia lingua nel quale condividere riflessioni degli e sugli artisti e sulle fasi di ricerca che hanno preceduto il lavoro. Come nel caso dell’intervento dell’artista e coreografo Julien Prévieux “What Shall We Do Next? (Sequence #2)” che ha previsto la presentazione di un suo film del 2014 e insieme la creazione di un archivio online che hanno dato origine al lavoro, parte di una più ampia ricerca dell’artista dedicata allo studio dei gesti codificati e brevettati dalle aziende di tecnologie come Apple e Samsung; o ancora, del collettivo IOCOSE che ha ripensato lo spazio del sito come estensione degli ambienti marziani del lavoro video “Pointing at a New Planet (2020)” sulla gestualità di Elon Musk CEO di SpaceX.

In altri alcuni casi il sito è stato centro di entanglement tra luoghi fisici diversi come per la live radio del dialogo tra Elena Biserna e Anna Raimondo tra Dro/Centrale, Bruxelles, Marsiglia e Milano a luglio 2020 parte del loro intervento “Ascoltare Attraverso. Interrogare i generi «attraverso» l’ascolto”.

L’edizione successiva di INBTWN (2021-2022) ha avuto come protagonista il progetto collettivo Standards che concentra la propria ricerca sulle pratiche sonore e di ascolto. Attraverso due momenti di residenza, ha sviluppato un intervento site specific per e su Centrale Fies, intesa come luogo e corpo architettonico, territorio e comunità di corpi che abitano i suoi spazi, trasformandoli attraverso il lavoro culturale e le relazioni che lo animano.

In formati diversi: un archivio sonoro online, un’installazione sonora performativa e una partitura (score) pensata come una serie di indicazioni per esercizi di ascolto rivolte tanto agli abitanti di Fies quanto ai suoi ospiti futuri da performare in alcuni spazi interni ed esterni della centrale.

© QW.10 tracks of density, Standards, esercizi di ascolto, 2021, ph: Sara Scanderebech

© QW.10 tracks of density, Standards, esercizi di ascolto, 2021, ph: Sara Scanderebech

GC: Contestualmente alla tua ricerca quali sono le aree di interesse che vorresti approfondire in futuro? Ci sono dei progetti in particolare che vorresti realizzare o a cui già stai lavorando?

CDA: Le questioni teoriche e le letture che mi stanno coinvolgendo maggiormente in questo periodo riguardano l’espressione vocale e poi l’embodiement e l’esperienza immersiva modi di esplorare forme di sensibilità altre, oltre il binarismo di genere o nella prospettiva di superamento tra umano e non umano.

Per quanto riguarda le curatele, seguirò lo sviluppo del progetto della vincitrice di questa edizione del premio Lydia, Beatrice Favaretto e la sua ricerca che rientra nella più ampia indagine intitolata “HDMW – Hold Me While I’m Naked”, iniziata nel 2019 sulla rappresentazione del desiderio e della sessualità nel contemporaneo.

In autunno poi curerò una mostra di Rachele Maistrello che per la prima volta riunirà tutto il ciclo “Blue Diamond” in un importante museo pubblico di Milano.

Infine, per quanto riguarda il mio lavoro in accademia, in queste settimane con i colleghi Matteo Cremonesi e Alessandro Mancassola stiamo portando a conclusione un progetto formativo teorico laboratoriale intitolato “How to explain it to my parents” che ha permesso a studentesse e studenti di approcciare le competenze necessarie ad avviare la loro attività artistica e professionale al di fuori dell’accademia e a posizionarsi nei contesti dell’arte contemporanea attraverso incontri con professionisti del campo, momenti di portfolio review con curatrici e curatori. A chiusura un workshop con l’artista Dafne Boggeri che sta dando vita ad una pubblicazione realizzata dai partecipanti sul percorso formativo e più in generale sul posizionamento e il ruolo dell’artista oggi, anche inteso nei termini di riconoscimento della pratica artistica come professione e di sostenibilità del lavoro culturale.

© Rachele Maistrello, Blue Diamond (ciclo), ph: Silvia Gottardi, Courtesy Il Lazzaretto

© Rachele Maistrello, Blue Diamond (ciclo), ph: Silvia Gottardi, Courtesy Il Lazzaretto