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Helen Anna Flanagan

Metronom: Blurring Contour (2021) è una narrazione sinestetica del clubbing in cui l’immersione nell’atmosfera mediata dalla videocamera è totale. Qual è la tua deviazione digitale, tema di questa edizione del progetto Digital Video Wall | Digital Deviations?

Helen Anna Flanagan: Blurring Contour nasce da un lavoro video precedente intitolato Friday, ambientato in una discoteca a Southend-on-Sea, nel Regno Unito. La discoteca vuota è servita da palcoscenico per due attrici per esplorare giocosamente il linguaggio. La sceneggiatura prevedeva l’utilizzo di specifiche regole di gioco come strategia alternativa al contesto, ma anche come modo per creare nuovi scenari per l’improvvisazione. Il video prevede molti dialoghi e un gran numero di scene, sebbene questo particolare loop sia ridotto per concentrarsi sulla fisicità del nightclub. Le superfici sono rese appiccicose e incomprensibili, le vene varicose e la cellulite deformata della gamba incrociata di una donna vengono estenuate dalla prospettiva di un bicchiere di champagne imbrattato di rossetto, e macchine del fumo nebulose sono evidenziate da luci viola danzanti. Blurring Contour si concentra su queste superfici e prospettive alternative, vedendo lo spazio di una discoteca come uno spazio inebriante – uno spazio della notte dove linguaggio e corpi cercano nuovi incontri e istanti di contatto. L’idea di “deviazione digitale” qui è di ritornare al corpo, alla tattilità e all’effetto – ingrandire e rimpicciolire su diverse superfici per occupare ed enfatizzare le diverse posizioni mediate sia dal corpo che dalla fotocamera. Il titolo gioca con l’effetto illusorio di prodotti cosmetici popolari che vengono utilizzati per contornare e definire un’area del corpo attraverso mezzi ingannevoli.

M: Blurring Contour è il primo lavoro video incluso nella seconda edizione del progetto Digital Video Wall: una breve clip in loop che prevede l’alternanza di superfici e prospettive allucinogene per esplorare diverse percezioni sensoriali del corpo utilizzando l’apparato della telecamera. Come concepisci la registrazione video e qual è il ruolo della telecamera nella tua ricerca?

HAF: La fotocamera è lo strumento perfetto per me per concentrarmi ed elaborare varie esperienze nel mondo. Invece di un approccio documentario più tradizionale, i miei lavori recenti sono radicati nella finzione e coinvolgono sceneggiatura, casting, storyboard, scouting di location, creazione di oggetti di scena e pianificazione. In quanto tale, il lavoro è costruito, a volte persino artificiale. Questa costruzione evidente è impiegata per rendere lo spettatore più consapevole o critico di ciò che vede. I personaggi spesso incarnano posizioni diverse per riflettere su diversi argomenti socio-politici, direttamente o indirettamente. Direi che il mio lavoro comporta una quantità impenitente di influenze. Tendo a combinare molti ingredienti diversi, non diversamente da una zuppa in cui unisci gli avanzi del giorno precedente, o cerco di essere creativa con ciò che è rimasto in frigo. Non ci sono rifiuti nella mia cucina! Per me questa abbondanza è più in linea con una realtà stratificata e vissuta.

M: La tua ricerca artistica consiste spesso nell’osservare piccoli eventi fortuiti nella vita di tutti i giorni e fonderli in narrazioni fantastiche che prendono la forma di installazioni, performance e video. Qual è il ruolo dell’assurdo nelle tue indagini sulle moderne strutture sociali?

HAF: Sì, ho preso spunto dalla lunga tradizione dell’assurdismo per contrastare la ragione e le convenzioni, spaziando dalle idee all’interno del Teatro dell’assurdo – Beckett, Pinter, Ionesco, alla televisione assurda degli anni ’70 -’90. Può essere una strategia utile per smantellare le convenzioni, esprimere pensieri sovversivi ed evidenziare l’esperienza e gli eventi contemporanei nel mondo.

M: Il tuo lavoro Gestures of Collapse (2019) è stato premiato con il VISIO Young Talent Acquisition Prize e utilizza il formato dei notiziari televisivi per riflettere su come si diffondono voci e credenze. Cosa ti interessa di più di come cambiano i comportamenti umani in un ambiente pubblico?

HAF: Mi sono interessata al concetto di inconscio mimetico e al modo in cui i comportamenti possono facilmente diffondersi all’interno dei gruppi sociali. Il mimetismo può essere rintracciato in alcuni dei miei primi lavori come un modo per interrogare la società e per esaminare i modi in cui gli individui si comportano in contesti diversi. Qualcosa di molto rivelatore negli esperimenti è stata la consapevolezza di questo rispecchiamento fin dall’infanzia, una vivida risposta emotiva quando si guarda, si legge e si registra un altro volto. Ci si ritrova a seguire la stessa risposta fisica in un atto impulsivo di cameratismo emotivo. Ho iniziato a riflettere su questi contagi emotivi e al potere della connessione o dell’influenza, siano essi a partire dai neuroni specchio attivati in precedenza nella vita come mezzo per copiare, imparare e ricambiare, fino alle idee sull’incarnazione, l’empatia, la connessione, la collettività e il conformismo. In Gestures of Collapse, mi sono concentrata sulle forze astratte della mimesi e sul loro impatto sul corpo fisico attraverso un disturbo psicosomatico noto come Malattia Socio-genica di Massa. L’MSI prevede la comparsa di sintomi fisici senza che vi sia alcuna causa identificabile e può essere trasmessa da una persona all’altra. È davvero interessante osservare come i comportamenti possono diffondersi nelle situazioni sociali e l’impatto fisico che ciò ha sui corpi, soprattutto in relazione all’autonomia e all’agire.
L’inconscio mimetico del comportamento della folla può essere rintracciato nell’ascesa del razzismo e del nazismo nel ventesimo secolo, dove i leader totalitari facevano affidamento su forme ipnotiche di volontà di potere per controllare le masse. Gli effetti contagiosi di tale comportamento mimetico sono spesso accelerati dai media. Gestures of Collapse si basa su un caso di MSI in una scuola belga che si è diffuso in altre scuole tramite un notiziario regionale. Ero curiosa di sapere come il contagio abbia un effetto fisico sui corpi altrui, mettendo così in discussione la capacità di agire di un individuo e come questa sia limitata, migliorata o manipolata da contesti e condizioni socio-culturali.

M: La tua produzione artistica prevede video, installazioni e performance. Come ti rapporti con i diversi media artistici per presentare il tuo lavoro? C’è un mezzo che ti coinvolge di più o dipende dalle circostanze e dai vari lavori?

HAF: Sì, dipende dal progetto e dal contesto in cui viene presentato. Il più delle volte il medium è combinato. Il mio lavoro prevede quasi sempre delle performance, che siano registrate o in uno scenario dal vivo. La performance fa parte del video, il video può quindi essere integrato in un’installazione o in un ambiente e un’installazione può diventare una piattaforma per un’azione performativa e così via. Penso di non essere così interessata alle idee fisse su come le cose dovrebbero e non dovrebbero essere, ma mi diverto a muovermi trasversalmente – per sperimentare i cross-over e le possibilità offerte da materiali, discipline, limiti e mezzi.

M: La tua formazione include un Master presso AKV St Joost, Paesi Bassi e un BA conseguito al Falmouth College of Arts, Regno Unito. In che modo queste istituzioni e il tuo percorso al loro interno hanno dato forma alla tua pratica? Ci sono esperienze professionali che hanno lasciato un segno particolare in te e nella tua arte?

HAF: Il mio background è nella fotografia documentaria e questo ha sicuramente influenzato il mio approccio artistico in termini di inquadratura del mondo che mi circonda. I primi lavori che ho realizzato erano progetti di fotografia analogica, piccole fanzine e libri autopubblicati. Facevo ritratti con estranei, andavo in posti in cui non sarei dovuta andare e osservavo quasi tutto. L’atto di fotografare ha davvero intensificato i miei sensi verso ciò che era subito disponibile e spesso trascurato. Trovo un po’ di spazzatura sul pavimento e lo riprendo per un po’, poi mi inginocchio e mi accorgo che, sotto una certa angolazione, abbastanza miracolosamente, un pezzo di detriti può diventare la sagoma di un piccolo uccello in volo. Quando camminavo per Birmingham e fotografavo, mi sembrava sempre di aver trovato qualcosa di piuttosto rivelatore o significativo in ciò che in realtà era davvero, davvero banale. C’è un’enorme quantità di proiezione, desiderio e analisi nello sguardo. Tutto questo mi ha spinto a guardare attivamente. Anche la costruzione di una serie o di una sequenza di fotografie è stata davvero istruttiva e probabilmente la prima via d’accesso all’immagine in movimento. Molti corsi di fotografia oggi sono piuttosto interdisciplinari, quindi è un paesaggio in costante mutamento.

M: Qual è il tuo rapporto con i social media? Senti qualche cambiamento nella fruizione dell’arte digitale rispetto a un’era pre-covid, anche al di fuori dell’ambiente dei festival di video arte?

HAF: Certo, ci sono molte risorse online che sono davvero fantastiche, ma per me è diventato piuttosto travolgente. O divento irrequieta o mi stanco. Forse è perché mi trovo in uno spazio troppo familiare con il mio laptop, o forse si tratta del dosaggio? Semmai, mi ha fatto realizzare più chiaramente il mio desiderio di trovarmi in diversi ambienti fisici. Immagino sia il mio fascino personale per i luoghi pubblici, il modo in cui corpi e cose negoziano lo spazio o entrano in contatto, e come questo “essere-nel-mondo” per così dire stimoli i sensi. Forse è per questo che molte persone in questi giorni stanno cercando di fare una passeggiata al giorno, coltivare piante esotiche, cercano un nuovo animale domestico o altri mezzi per riconnettersi con qualcosa al di fuori di se stessi. È di nuovo questa idea di prospettiva. Quando guardo il laptop o lo schermo del cellulare, i miei occhi sono costantemente concentrati su un certo punto o distanza. La percezione è troppo posizionata. Quando entri nel mondo esterno inizi a realizzare tutte le posizioni in relazione ad altre cose – profondità fisica, stratificazione e moltitudini. Puoi alleggerire i tuoi occhi e guardare l’orizzonte o la tua scarpa, il gatto che insegue qualcosa ad una folata di vento, per poi voltarsi all’improvviso al suono acuto di una campana e un appassionato “vattene fuori dai piedi fo****o idiota! ” È un mondo selvaggio là fuori. I sensi sono rinvigoriti.

 

 

Helen Anna Flanagan (1988, Birmingham) ha conseguito un master presso lo AKV St Joost, Paesi Bassi, e si è laureata presso il Falmouth College of Arts, Regno Unito. Ha esposto i propri lavori in numerose mostre personali e collettive e ha partecipato a numerosi festival. Le prossime mostre includono: Gesticulating… Wildly, IKOB, Museum of Contemporary Art, Belgium; Regenerate, WIELS, Bruxelles; Hypermarket, Kunsthal Gent; Public Park Etcetera, SMAK, Gent; Conjunctions, Sonsbeek Quadrennial with HISK, Arnhem; Emergency Biennial 2020, Aspex Gallery, Portsmouth, UK; Days of Our Lives, Susan Bites & The Balcony, The Hague. Helen è la vincitrice dell’IKOB Feminist Art Prize 2019 e del VISIO Young Talent Acquisition Prize 2020. Ha partecipato alla residenza post-accademica presso HISK nel 2019 e nel 2020.

©Helen Anna Flanagan & METRONOM, 2021
09/04/2021