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LÈA PORRÈ

Generazione Critica: Durante un’intervista per ITSLIQUID, hai accomunato il tuo ruolo di artista a quello di un archeologo che «rimette in scena artefatti e rituali, perduti o immaginari, in cui ricreare realtà alternative». Puoi raccontarci più nel dettaglio del parallelismo tra queste due figure e di come la tua pratica artistica si estrinseca attraverso media eterogenei?

Léa Porré: Per molto tempo volevo fare l’archeologa, per me si trattava di cercare tracce, frammenti di un passato tangibile. Ma anche di riempire i vuoti della memoria e della storia, entrambi molto soggettivi in quanto dipendono da intermediari umani. E così, sono rimasta affascinato da questa idea di portare alla luce resti, testamenti di un momento specifico nel tempo. A modo mio, nel corso degli anni, ho scavato online come parte della mia ricerca, per trovare elementi e simboli che potessero essere riutilizzati nelle mie opere. il materiale raccolto parla della coscienza collettiva del nostro tempo e di come gli archetipi transistorici e i manufatti antichi siano attualmente visualizzati, specialmente attraverso i tropi nella cultura popolare e dei videogiochi. Contemporaneamente l’idea di autenticità era presente nella mia mente e portandomi a giocare con la tensione tra ciò che è reale e ciò che viene considerato falso, irreale, non autentico. Sono rimasta affascinato dai molti strati di rappresentazione che ci sono tra un originale e ciò che diventa, attraverso generazioni e secoli. Ho sempre ritenuto importante abbracciare le diverse creazioni che si sviluppavano su archi temporali differente, poiché anch’esse diventano parte della storia, per quanto la loro autenticità possa variare in relazione con l’originale perduto.

Ho sempre utilizzato una vasta gamma di media nella mia pratica, sperimentando diverse tecniche e display, al momento sono molto interessata alla creazione di installazioni. Dopo un primo periodo di ricerca, spesso inizio con un processo digitale che mi permette di costruire mondi 3D, come un modo per appropriarmi del materiale che ho ricercato e creare la mia rievocazione.
Al momento sto esplorando come creare installazioni che non abbiano necessariamente un output digitale: che non richiedano l’intermediazione di uno schermo o di una proiezione. Sto sperimentando con sculture in legno e carte da parati, ad esempio, che possono subire diversi processi digitali, come CNC, taglio laser, stampa digitale oppure metodi tradizionali come pittura, scultura, disegno. Per me questi lavori assumono un comportano tipico dei portali, punti di ingresso verso i miei Worldbuild, alle soglie dei mondi fisici e digitali. Anche loro potrebbero essere frammenti di un mondo perduto.

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GC: Il tuo processo artistico mi ha fatto pensare subito alle opere dei coniugi Poirer, i quali indagano il concetto di memoria, rovina, archeologia, manufatto, memento mori, ricordo, per sottolineare l’importanza del passato sul tempo presente e sul comportamento umano. Nel tuo lavoro, invece, l’artefatto e la ricerca come pratica, diventano elementi fondamentali per sviluppare nuove realtà e forme narrative alternative. Queste nuove possibilità si sviluppano in mondi digitali del tutto surreali. Che relazione intercorre nel tuo lavoro tra memoria, artefatto, narrazione e mondi digitali?

Grazie mille per questo bel riferimento, la coppia Poirier è fantastica! Non conosco molto bene tutta la loro pratica, ma sono anch’io molto incuriosita dai resti del passato nel presente, come tracce tangibili, rovine e artefatti, ma anche in forme meno tangibili, attraverso la memoria, la coscienza e riti ancestrali. Per me, il nostro passato non solo plasma il nostro presente, ma può anche essere usato per prevedere il nostro futuro. Il modo in cui vedo la storia ha questa struttura molto ciclica, con eventi che si ripetono nel tempo e parallelismi che possono essere tracciati tra due eventi apparentemente disconnessi.

Il mio campo di indagine della storia arriva fino al XIX secolo e al periodo rivoluzionario, sia politicamente con la Rivoluzione Francese che economicamente con la Rivoluzione Industriale. Vedo quel periodo di vividi cambiamenti come una frattura nella storia umana, dove si passa da un modello di vita ciclico, organizzato intorno al tempo della Natura, a qualcosa di molto più lineare, incentrato sull’idea di progresso. Ideologicamente, c’è un enorme cambiamento prima e dopo quel periodo, c’è una vera disconnessione nel modo in cui ci relazioniamo con il nostro passato, che riguarda ancora oggi: si tratta sempre di quanto cambia la nostra evoluzione in un dato periodo storico. Quando guardi la rappresentazione del Medioevo è piuttosto scoraggiante!
Nella mia pratica non si tratta di evidenziare un’età dell’oro (più vicina a una visione romantica), o negare un intero periodo, o una forma di governo come la Monarchia, ma è un esame critico di micro-eventi, rituali specifici, un giorno, un luogo, forse una figura. E quella lente critica è necessaria per guarire dal nostro passato, ma anche per comprendere meglio il nostro futuro, imparando dai nostri numerosi errori. La storia piò essere molto umile e immergersi in profondità nella ricerca è un modo molto illuminante per aiutarci a sfocare il nostro contesto attuale. Ho anche discusso l’idea del re-incantesimo e, per me, si tratta di permettere a noi stessi di vedere la bellezza in angoli specifici della storia (sono un grande fan delle creature e dei bestiari medievali surreali).

Se ripensiamo alle origini della Storia, che è ambientata nella memoria, nella narrazione, con racconti ripetuti generazioni dopo generazioni, vediamo chiaramente la sua natura soggettiva, come siano creazioni profondamente umane. Frammenti di narrazioni si intrecciano ogni volta in modi diversi, ed è una forma molto dinamica e fluida. Penso di concepire i miei mondi digitali e le mie storie in modo simile, con i resti bizzarri, che collassano l’uno sull’altro e insieme, creando una nuova versione di una storia raccontata molte volte, in molti modi, attraverso il tempo, generando “incontri impossibili” lungo la strada.

GC: Ekpyrosís offre una rilettura critica della monarchia francese attraverso una visione ciclica della Storia, «dove i suoi incontri impossibili e transistorici fanno collassare il tempo umano e quello profondo», come tu stessa affermi nella descrizione dell’opera. Il titolo deriva dal greco e significa ecpirosi, che nella filosofia greca indica una distruzione ciclica dell’universo a causa di un grande incendio, un fuoco cosmico, da cui successivamente tutto dovrebbe rinascere. Il termine, dunque, indica un processo di rinnovamento in seguito ad un atto di distruzione. Come nasce l’opera? Da cosa scaturisce il tuo interesse per la rielaborazione di narrazioni legate alla reggia di Versailles e al Re Sole?

LP: Ho parlato un po’ del mio interesse per la ciclicità del tempo, questo lavoro è davvero il culmine di quella ricerca. Mi interessava molto tentare di tracciare un parallelo tra i diversi schemi ciclici che ritroviamo in forme molto diverse: il video è ambientato durante il giorno (con una serie di capitoli: Sunrise, Sunset, New Dawn…) e fa riferimento alla vita di un personaggio storico (il Re Sole, Luigi XIV di Francia) che viene mappato sull’archetipo mitologico della divinità che muore e risorge (ben noto è l’esempio del dio egizio Osiride, un Dio che rinasce ogni giorno e muore ogni notte) e la vita e la morte di un vulcano (pensando alla ciclicità delle scale geologiche, che abbracciano milioni di anni). È un crollo impossibile dei tempi, eppure coesistono tutti contemporaneamente.

Il punto di partenza di quel lavoro era la ricerca sull’eruzione del 1783 del vulcano islandese Laki, che è una causa diretta della Rivoluzione Francese (causando una rovina dei raccolti e conseguentemente anni di carestie). Ero affascinata dal modo in cui un evento climatico potesse avere un effetto farfalla in questo drastico cambiamento politico. Localizzando un vulcano immaginario sotto il Palazzo di Versailles, cuore del potere francese dell’epoca ho spostato geograficamente l’epicentro, giocando con l’anacronismo, ho portato poi Luigi XIV nella narrazione, per la sua associazione con il Sole, e il suo programma quotidiano draconiano che imita lo schema del sole, e la sua cerimonia regale della ‘leva’ (prepararsi per la giornata attraverso un rigido protocollo di potere).
In quel momento pensavo anche all’archetipo del re sacrificale, a come un re è legato alla società in generale e in particolare al benessere dei raccolti agricoli, a come la sua vita divina è interconnessa con quel modello ciclico della natura.
Durante la fase di creazione di Ekpyrosis ha sicuraemnte influito il mio crescente interesse per i vulcani e la geologia, intesa come una forma ciclica di eventi. In modo particolare mi piaceva riscontrare negli strati geologici la stratificazione degli eventi:  potrebbe essere inteso come l’ultimo manufatto non soggettivo, quasi una traccia del tempo. Inoltre il sito dell’eruzione vulcanica diventa dopo un po’ un terreno molto fertile, dove la vita nasce dalla distruzione: ritroviamo qui l’idea greca dell’Ecpirosi.
Infine, una continua ricerca nella mitologia mondiale mi ha portato ad un forte interesse per le cosmogonie: racconti mitologici che narrano la creazione del mondo. Ancora una volta, abbiamo questa enfasi sul tempo ciclico, e ciò che mi ha particolarmente assorbito qui, è che i miti della cosmogonia e dell’apocalisse sono spesso una cosa sola, la distruzione è creazione, poiché l’inizio/il principio non ha un punto lineare, siamo nel mezzo di un caos costante e rinascita, dove l’uno non può esistere senza l’altro.

Tutti questi interessi sono poi rientrati all’interno di questo lavoro video, che ho rappresentato attraverso l’uso di diversi Mondi 3d come un Axis Mundi. Creando un regno sopra l’altro all’interno e sotto i Giardini della Reggia di Versailles!

Léa Porré, Ekpyrosís, 2021, Video still, courtesy the artist

Léa Porré, Ekpyrosís, 2021, Video still, courtesy the artist

GC: Ekpyrosís, come altri tuoi lavori, si riallaccia alla pratica di Worldbuilding, ovvero il processo di creazione di un mondo fittizio, compresa la sua architettura, geografia, personaggi, relazioni, storie. Ian Cheng, ad esempio, utilizza l’espressione worlding per descrivere il suo processo di costruzione di mondi e si approccia al concetto di Mondo descrivendolo come “un contenitore di tutte le possibili storie”. Allo stesso tempo, importante per il tuo lavoro è la nozione di archetipo, attraverso cui identifichiamo modelli psico-culturali del nostro immaginario collettivo. Puoi parlarci della relazione di questi due elementi nel tuo processo di costruzione di mondi?

LP: I mondi che creo nel corso degli anni li chiamo i miei “paesaggi onirici”: il worldbuilding mi permette di creare questi ambienti impossibili, che sono fatti dei miei interessi, feticci, peculiari assi di ricerca, e non obbediscono alle leggi del mondo reale, dove reale/irreale, sacro/profano non devono essere così contrario.
Questi paesaggi immaginari hanno quell’atmosfera surreale e, poiché ho una pratica altamente simbolica, aggiungo sempre frammenti di archetipi, quindi spero di creare spazi stranamente familiari. Mondi che sembrano allo stesso tempo estranei e vicini, la tensione che si crea la chiamo “Earthly Alien“.

La mnemonica, la tecnica di memoria usata dagli antichi greci, è stato un focus centrale nella mia ricerca. La loro strategia era quella di costruire “palazzi della memoria” nella loro mente, visualizzando davvero un edificio e conoscendolo perfettamente (questo luogo poteva essere reale o immaginario), successivamente venivano immagazzinate informazioni nei luoghi specifici all’interno di quei palazzi. Tutto ciò che dovevano fare era attraversarli (nella loro mente) e recitare il loro discorso con l’aiuto delle informazioni memorizzate sui muri, come faresti con un post-it al giorno d’oggi immagino. Un esercizio così impressionante, in un momento in cui la scrittura non aveva lo stesso valore presente. Ma mi sono resa conto che il modo in cui stavo costruendo i miei mondi 3D era abbastanza simile a quello, e che le mie opere funzionano come palazzi della memoria a modo loro, il Worldbuilding mi perme di immagazzinare archetipi e, si spera, attivare la memoria.

Questi lavori spesso si formalizzano in video e sono sempre davvero entusiasta di poterli mostrare fisicamente e di continuare a creare installazioni ancora più coinvolgenti, portando quella natura iperreale in un display tangibile. È incredibile che Ekpyrosís, che fa parte della rassegna di Rabbit Hole, possa essere visto 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dalla strada, poiché diventa davvero una portale all’interno della città.

Léa Porré, Ekpyrosís, 2023 installation view, Metronom IT

Léa Porré, Ekpyrosís, 2023 installation view, Metronom IT

GC: Le tue opere sono definite come “palazzi della memoria” e uno dei fili conduttori che le accomuna è un tipo di estetica che si lega al concetto di “ruin porn”, un trend molto in voga soprattutto su piattaforme come Instagram, ed usato come Hashtag da milioni di utenti per descrivere foto in cui rovine architettoniche e urbane esercitano un estremo fascino. Il tema è tuttavia ricorrente anche in altri contesti, dai film alle serie tv, ma soprattutto anche in ambito videoludico, in cui la costruzione di paesaggi spesso anche post apocalittici si affida al concetto di rovina come ad una sortasi memento mori per un tempo e una civiltà ormai passata, al collasso, spazzata via. Trovo interessante che tu stia lavorando in direzione di una ricerca sui miti ancestrali e su una rivisitazione in chiave artistica della memoria storica utilizzando mondi digitali, anziché proiettarti sulla costruzione di mondi iperfuturistici; soprattutto in un momento storico in cui lo studio, a livelli diversi, sulla realtà virtuale e l’intelligenza artificiale  sta cambiando molti settori, da quello industriale a quello creativo.

LP: Grazie mille! Devo ammettere che a volte mi pongo la stessa domanda: perché mi concentro sul nostro passato, quando tutti sembrano assorbiti dal futuro? Forse perché il tempo per me è ciclico e non ho una distinzione così netta tra le scale temporali, o forse perché passo così tanto tempo incantata da creature vulcaniche, forme di vita che hanno milioni di anni, che guardando ai decenni a venire, il futuro non mi sembra così eccitante? Guardare indietro significa avere 4 miliardi di anni di tempo terrestre da poter indagare… è piuttosto allettante!

Sicuramente è fondamentale per le società conoscere il proprio passato, ma ciò non significa che si tratti solo di guardarsi indietro, anzi! Abbiamo molto da imparare dalle società del passato, soprattutto se si pensa al nostro attuale disastro ecologico, una minaccia capace di annientare l’intero pianeta. In questo senso, guardarsi indietro penso che sia uno strumento piuttosto utile, specialmente considerando che la storia umana come la conosciamo (o la preistoria se preferisci) si espande sempre più indietro nel tempo. Le temporalità dell’essere umano si espandono molto più di quanto pensavamo di sapere, creando scenari alternativi dalla conoscenza tradizionale.

La narrazione, la creazione di miti, la costruzione di mondi, sono stati elementi chiave che hanno plasmato la società per millenni e ora, proprio come la scrittura e la stampa hanno completamente ridefinito il metodo di comunicare, abbiamo la possibilità grazie alle attuali tecnologie, di creare incredibili nuovi mondi digitalmente. Per me è molto  affascinante poter fondere credenze e archetipi arcaici nel nostro contesto attuale inserendoli nei mondi digitali. Questo atteggiamento ha in se un accenno nostalgico e romantico, l’aspirazione a connettersi profondamente con il nostro passato. Lo vediamo molto nei videogiochi come Assassins Creed, in cui la nostra memoria ancestrale è contenuta nel nostro DNA. È un fenomeno che si può riscontrare in generale nella cultura popolare: vediamo sempre più frequentemente un immaginario medievale mescolarsi a mondi fantastici, ne sono un esempio Il Trono di Spade o Il Signore degli Anelli: c’è un vero desiderio di quella riappropriazione del nostro passato. Per ora, utilizzo Worldbuild per colmare il vuoto di quell’impossibilità, ma soprattutto come un modo per riempire l’immaginario, per abbracciare la nozione sfocata di reale/irreale, per far collassare tempi e luoghi lontani in uno.

GC: Vorrei soffermarmi sull’aspetto più tecnico del tuo lavoro e chiederti se puoi parlarci di come realizzi i tuoi mondi digitali. Utilizzi game engine come Unity o Unreal? Come metti insieme i vari tasselli?

LP: Grazie per questa domanda, penso che sia molto importante demistificare il processo alla base della realizzazione di opere, soprattutto da parte di artisti che utilizzano processi digitali! Nel processo di creazione di ambienti faccio uso di Unity. Nei mondi a disposizione, aggiungo modelli 3D trovati, ne realizzo anche alcuni personalizzati  o ne scolpisco alcuni in ZBrush o Blender. Ovviamente ho delle immagini di riferimento perché la mia narrazione spesso incorpora luoghi storici reali, ma il mondo inizia a diventare interessante man mano che mi allontano da quei riferimenti. Il mio obiettivo non è mai quello di creare set iperrealistici, – abbiamo il “mondo reale” per questo – piuttosto ricerco ambientazioni surrealiste o iperreali.

Ciò che è sempre molto importante per me è che questo processo di costruzione dell’ambiente 3D sia in qualche modo reso visibile nelle immagini o nei video finali, che si faccia sempre riferimento alla realizzazione, perché per me questo è il focus principale dell’utilizzo di un mezzo specifico, sfruttare l’unicità di queste tecniche. Quando costruisci in 3D, spesso (ovvero sempre) hai problemi di scale, elementi piatti (2D), altri che sono 3D, errori e glitch lungo il percorso. Ed è qui che diventa interessante, sono gli errori non pianificati che fai lungo il percorso che creano dei risultati sorprendenti.  Mi sono resa conto che abbracciare il mio dilettantismo rendeva il processo molto più bello, unico e bizzarro. Errore dopo errore sono riuscita a imparare molto! Per me costruire mondi digitali diventa interessante quando puoi fare ciò che non potresti fare “nella vita reale”, fondendo tra loro le maglie, unendo elementi architettonici, geologici e umani in uno.

Spesso scatto video (o immagini) all’interno di Unity, li modifico in Premiere e aggiungo effetti/testi su After Effects. Per me il lavoro è finito quando viene installato perché attinge a luoghi fisici, rovine, frammenti, resti ecc… È la fine di quello che chiamo il ciclo di feedback, perché quando costruisco mondi, sono 3D con una loro fisicità, non sono immagini piatte, quindi è importante che il pubblico possa interagire con loro in modo fisico.

Lèa Porré, Ekpyrosis, RAC Degree Show, 2021, courtesy Ollie Harop

Lèa Porré, Ekpyrosis, RAC Degree Show, 2021, courtesy Ollie Harop

GC: Finora abbiamo parlato del tuo lavoro di ricerca in relazione alla creazione di mondi digitali, ma questo lavoro sulla memoria storica e ancestrale in realtà si estrinseca attraverso altri formati, come foto e video, ma anche opere tangibili, estratte da questi mondi. Si crea così un complesso macrocosmo composto da livelli mediali ed estetici diversi. Come avviene il processo di declinazione del tuo lavoro in altri formati?

LP: Per continuare su ciò di cui abbiamo discusso in precedenza, non mi considero un artista digitale e se le mie opere hanno molti passaggi e processi digitali al loro interno, voglio portare questo regno digitale visibilmente nella sfera fisica e creare ambienti/installazioni e oggetti immersivi.

È sicuramente un processo interessante e recentemente mi sono divertita a concepire diversi wallpapers; funzionano come porte nello spazio espositivo. Per Ekpyrosis (presente sul Digital Video Wall di Metronom), l’installazione originale è stata sviluppata per il mio MA Degree Show presso il Royal College of Art di Cromwell Place, a Londra nel luglio 2021. Il video è stato visualizzato sullo schermo ed era circondato da 3 elementi scultorei, ciascuno riferito a diversi regni che tornano nel video. Le loro forme sono influenzate dal periodo Rocaille, un periodo di totale esuberanza e libertà nelle forme a metà del XVII secolo, in Francia, con una forte enfasi sulla fantasia. Quindi, mi piace molto che queste sculture siano entrambe realizzate con processi digitali ma facciano riferimento a un periodo culturale più antico! Più recentemente, ho lavorato con elementi in legno, cornici che contengono immagini digitali dei miei Worldbuild, ma che ho dipinto e verniciato a mano, quindi anche loro hanno quella bella via di mezzo tra epoche diverse.

GC: Il periodo della rivoluzione francese, l’impero del Re Sole e il ruolo storico e culturale della reggia di versailles giocano un ruolo importante nella tua pratica, così come nel lavoro selezionato per il Digital Video Wall. Ci sono altri periodi storici o altre figure mitiche che hanno colto la tua attenzione e che vorresti indagare successivamente?

LP: Sono francesi, ma le mie vere radici vengono dalla Bretagna, la regione nord-occidentale della Francia (che si affaccia sulla Cornovaglia nel Regno Unito), che è rimasta indipendente per molto tempo e ha mantenuto la propria indegnità e cultura piuttosto fortemente. È una delle 6 regioni considerate “Nazioni celtiche”, ora vivo a Londra, nel Regno Unito, da 12 anni, mi sento sempre più vicino a quel patrimonio, eppure incuriosito da esso. La Bretagna è nota per la sua incredibile cultura megalitica; Carnac, ad esempio, è un perfetto sito di allineamento di pietre di 7000 anni. Ho un’attrazione naturale per quel paesaggio più arcaico e celtico, una cultura che conosciamo così poco.
Per un paio d’anni mi sono interessata ai processi di congelamento e alla crioconservazione. Prima che la scienza attuale stabilisse che la Terra si stava riscaldando, sembrava quasi che il futuro del nostro pianeta potesse essere ghiacciato. Tornare su queste osservazioni potrebbe diventare un’interessante controparte apocalittica di Ekpyrosis!
Come sempre, ci saranno molti elementi bizzarri fuori dal tempo e dallo spazio.

 

16/03/2023

Léa Porré, Ekpyrosís, 2023, installation view, Metronom IT

Léa Porré, Ekpyrosís, 2023, installation view, Metronom IT