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MARK DORF

> Metronom: Lo scorso gennaio sei stato selezionato per “Digital Promises Residency”, una residenza d’artista presso il Banff Center di Alberta (Canada), dove hai lavorato per un mese insieme a Jon Rafman, Fatimah Tuggar e Claudine Hubert. Come descriveresti questa esperienza? Qual è stato il principale obiettivo di ricerca?

Mark Dorf: La mia permanenza al Banff Center mi ha fornito una leggerezza difficilmente raggiungibile a New York, città dove attualmente risiedo. New York è una città meravigliosa, colma di comunità vivaci di artisti, gallerie e istituzioni, che da un lato mi dà un’energia incredibile, ma allo stesso tempo è veloce, piena di rumore e, a volte, un po’ caotica. Questi elementi possono certamente essere una fonte d’ispirazione, ma possono anche diventare una fonte di distrazione. Prosciugando le esperienze sensoriali in eccesso, sono stato in grado di concentrarmi davvero sulle idee che sto cercando di esprimere nel mio lavoro. I muscoli che uso così inconsciamente nella vita di tutti i giorni si sono riposati, il rumore di fondo si è ridotto e sono stato in grado di affinare davvero i miei gesti, sia creativamente nel mio lavoro sia socialmente nelle mie interazioni con gli altri.

Ognuno dei componenti del programma, Jon Rafman, Fatimah Tuggar e Claudine Hubert, ha proposto qualcosa di diverso. Oltre ad averli invitati in studio e aver discusso del lavoro che stavo facendo durante la residenza, ho condiviso molti pasti con Fatimah discutendo delle politiche sociali contemporanee, ho parlato di pratica curatoriale con Claudine, mentre Jon ha ospitato una serie di workshop sull’improvvisazione, entrambi nel campo della scrittura e della performance.

> M: Nella serie “Transposition” (2016 – 2017) hai lavorato con l’installazione e con diversi media, mentre in “Confluence” (2017) con l’animazione digitale. Nella tua pratica, come gestisci lo strumento del video? Il nuovo progetto video che hai sviluppato durante la residenza è parte di una ricerca legata ai tuoi precedenti lavori, o si concentra su un muovo linguaggio?

 MD: Vedo la mia pratica come un unico filo continuo. Nonostante i progetti siano presentati come separati, seguono tutti un’unica traiettoria, dove ognuno prende in prestito qualcosa dal lavoro precedente e allo stesso tempo alimenta quelli futuri. Il mio nuovo film – Contours – si occupa ancora una volta di paesaggio, architettura, tecnologia e del loro legame, ma questa volta mi sono concentrato su quanto sia antropocentrico il punto di vista con cui guardiamo questi tre aspetti. Anche quando questi elementi vengono concepiti come un sistema unico e interconnesso, la considerazione che ne abbiamo è sempre nettamente umana, compreso il linguaggio a cui ricorriamo. Si tratta di un sistema ancora destinato a servire gli umani, o almeno alcuni di loro. Il film tratta di come si potrebbe decentrare questo sistema o spostarne l’uomo dal centro focale, ma guarda con malinconia anche all’impossibilità di un tale cambiamento e del paradosso stesso di farne arte a riguardo. Tornando alla domanda, in un certo senso, il film lavora con argomenti familiari, ma da una nuova prospettiva che guarda davvero al linguaggio, non solo parlato o scritto, ma anche visivo ed estetico.

> M: In tutti i tuoi lavori hai intenzionalmente inserito un elemento di finzione: il tuo intervento con strumenti e gradienti di Photoshop, la miscela di erba sintetica e acqua in bottiglia, compensato e legno finto. Sembra che tu riesca a ricreare una realtà “iper-fittizia”, in questo modo sei controcorrente rispetto all’approccio predominante all’iper-realtà di una certa figurazione contemporanea, che implica principalmente il digitale e la realtà virtuale. Come gestisci la dicotomia verità / finzione?

MD: Un mondo senza finzione non è reale. Viviamo tutti nelle nostre finzioni mentre traduciamo le nostre esperienze e le proiettiamo nell’ambiente con cui interagiamo su scala individuale, culturale e umana. Guardiamo attraverso obiettivi singoli, che possono sì avere congruenze con quelli altrui, ma alla fine restano unici e ineludibili: in un certo senso, viviamo tutti nel nostro spazio virtuale. È questo punto di vista singolare, che in qualche modo condivide somiglianze con gli altri, che crea il mio spettro d’indagine. In Contours, ci sono naturalmente dei momenti esteticamente dominati dall’intervento digitale e dal collage, ma prevalentemente, almeno nel suo stato attuale, il film è composto da riprese basate su obiettivi catturati con cambiamenti ed effetti minimi. Sto cercando di rendere strana la nostra esperienza quotidiana, ma attraverso un intervento leggero. Voglio che mettiamo in discussione ciò che ci circonda e che sperimentiamo ogni giorno, creando, come tu dici appropriatamente, una realtà iper-fittizia.

> M: Hai qualche progetto per il futuro?

MD: In questo momento sto solo lavorando a questo film. È diventato un lavoro per me molto importante e delicato. Sto prendendo in considerazione e riflettendo su ogni movimento più di quanto abbia mai fatto prima: confidando nei miei movimenti subconsci, riflettendo e concentrandomi soprattutto sul significato di questi moti. Una prima introduzione a questo nuovo lavoro è stata la mia recente pubblicazione kin, edita da da Silent Face Projects, qui a New York, un progetto per me molto eccitante – è stato una sorta di “teaser” per il mondo che sto creando in Contours. Il lavoro, oltre al film, è composto da sculture e stampe fotografiche, che andranno a completare le esplorazioni materiali che ritengo fondamentali per il progetto.

Mark Dorf (Laconia – USA, 1988) vive e lavora a Brooklyn, NY.
La pratica di Mark Dorf coinvolge varie discipline in modo ibrido come la fotografia, i digital media e la scultura. Nelle sue ricerche più recenti, l’artista esplora le percezioni della società contemporanea e l’interazione con il dominio digitale, l’ambiente urbano e architettonico e il ‘Paesaggio Naturale’. Con un forte interesse per la tecnologia e la scienza, Dorf analizza in modo lucido e accurato l’influenza dell’età dell’informazione con lo scopo di comprendere il nostro ‘abitare’ contemporaneo. È stato selezionato come artista FOAM Talent 2017. Ha esposto in istituzioni internazionali come IFP Media Center, New York (2017); Postmasters Gallery, New York (2017 e 2015); Galerie Philine Cremer, Dusseldorf, DE (2016); Division Gallery, Toronto (2015); Outlet Gallery, Brooklyn (2015); Lima Museum of Contemporary Art, Lima (2014); Mobile World Centre, Barcellona (2014); Harbor Gallery, New York (2014); SCAD Museum of Art, Savannah (2013) e Phoenix Gallery, New York (2012). Nel 2018 ha vinto il Digital Promeses Recidency presso il Banff Centre di Alberta, Canada. 

Cover image: © Mark Dorf, Contours (video still), 2019

19/02/2019