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MARTINA MENEGON

Generazione Critica: La tua pratica artistica ruota attorno all’utilizzo dell’arte interattiva e della extended reality come medium attraverso cui esplorare la corporeità a cavallo tra reale e virtuale. Puoi parlarci del tuo percorso formativo e di come si è plasmata la tua ricerca?

Martina Menegon: Il mio percorso è fatto da tantissime esperienze diverse che, fortunatamente, si sono successivamente intrecciate e mescolate tra loro. Ho avuto la fortuna di essere cresciuta con computer (e poi internet) in casa – ricordo i pomeriggi passati con kidpix per esempio! Poi la passione-ossessione per Second Life dove ho passato 10 anni a creare ed esplorare mondi virtuali ma soprattutto l’idea di Avatar e di corpo digitale in costante cambiamento. Durante I miei primi studi al dipartimento di Arte Visive e dello Spettacolo all’università IUAV di Venezia ho imparato ad usare programmi 3D avanzati come Cinema4d e poi software per creare esperienze interattive come maxMsp. Proprio durante gli ultimi mesi prima della mia Laurea ho seguito il laboratorio di Klaus Obermaier, dove ho imparato ad unire la mia passione per il 3D con l’interazione e ho iniziato il mio percorso artistico nell’Arte Interattiva. Successivamente mi sono spostata a Vienna, dove ho studiato Arte Transmediale all’università di Arti Applicate e qui ho iniziato a sperimentare sempre più con il virtuale, il concetto di Avatar e la mia relazione complessa tra corpo fisico e virtuale. Ho notato solo di recente come tutte le mie passioni ed esperienze si sono unite e hanno formato quella che è la mia pratica artistica corrente.

GC: Dalla commistione di elementi reali e virtuali prendono vita complesse sculture digitali che sfidano l’idea stessa di corporeità. Utilizzi una crasi molto interessante per descrivere questa peculiarità estetica, visiva e formale del tuo lavoro: phygital corporeality. Come avviene il processo di creazione delle tue opere? La tua indagine parte prima dal corpo fisico per poi muoversi alla sua controparte digitale oppure entrambi gli elementi sono sullo stesso piano?

MM: Nell’esplorare la relazione tra realtà fisica e virtuale nei miei lavori, ho cercato fin dall’inizio di creare esperienze virtuali che fossero fisicamente percepibili nonostante la loro natura virtuale. Al tempo la chiamai “synthetic corporeality” ma, soprattutto negli ultimi anni, questa divisione tra reale e virtuale si è dissolta e credo in una realtà fatta in ugual misura di elementi fisici e virtuali e ho deciso dunque di utilizzare il termine “phygital” (physical + digital). Sono venuta a conoscenza di questa parola tramite i lavori di Keiken e anche se su twitter leggo molti dubbi sul termine stesso non ho trovato alternative per ora.

Le mie opere nascono sempre dal corpo fisico trasportato nel virtuale tramite 3D scan o fotogrammetria. Mi interessa come il mio corpo viene letto e interpretato da questi strumenti sempre più a portata di mano e come, proprio grazie a questa traslazione o traduzione, nasce un nuovo corpo di natura virtuale ma estremamente connesso al suo stato fisico di partenza – e dunque in assoluta co-esistenza. Inoltre, per me è estremamente importante l’idea di glitch come liberazione da un sistema binario e dalle limitazioni della realtà fisica per cui, tramite diversi atti performativi nel processo di scanning, utilizzo il mio corpo fisico (con tutte le sue limitazioni) per liberare e trasformare il risultante corpo virtuale. Per cui il corpo digitale diventa un’estensione essenziale del mio essere e del mio corpo.

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©Martina Menegon, untouched, 2022, courtesy the artist

GC: Hai mai avuto modo di sperimentare anche con programmi di modellazione e texturizzazione 3D come ZBrush, Maya o Blender, per citarne alcuni?

MM: Si! Credo sia parte essenziale per un artista nel campo dell’Arte Digitale continuare a scoprire e a sperimentare con programmi diversi. Nonostante i miei lavori siano spesso software o simulazioni realizzati in Unity3D, nel processo di creazione utilizzo e sperimento volentieri con molti software come ad esempio Zbrush, Blender, Substance, Meshlab e online tools come sculptGL e NormalMap-Online. La lista è lunghissima! E ancora più lunga è la lista di software e tools che vorrei avere tempo di imparare!

GC: La video scultura e la scultura digitale sono degli ibridi che si innestano su diversi linguaggi visivi. Abbiamo simultaneamente a che fare con la video arte, con la modellazione digitale, la scultura, la fotografia, fotogrammetria, in un interessante mix che sovverte i concetti stessi di materiale ed immateriale. Puoi dirci come si è evoluto questo campo di indagine negli anni?

MM: La ricerca è nata da un forte bisogno di connessione con le varie estensioni digitali create negli anni. Nonostante tutti questi account, tutti questi avatar, siano stati (e sono tutt’ora) parte di me, mancavano di un legame, di un’identificazione più profonda con il mio corpo base. Li ho vissuti tutti come corpi ideali ma allo stesso tempo mai perfetti, sempre in cambiamento. Ho sentito dunque la necessità di partire dal mio corpo base e sperimentare con il 3D scanning per tradurre il mio corpo fisico in uno virtuale. Al tempo (2015) avevo a disposizione solamente una Kinect camera di seconda mano che usavo per le mie installazioni interattive e con grande sorpresa ho scoperto di poterla utilizzare come scan 3D. Così ho provato, da sola a casa, a creare un selfie tridimensionale e il risultato è stato un corpo virtuale pieno di “errori”, di glitch, causati da questo uso improprio della tecnica di scansione 3D. Ho sentito una connessione enorme con questo nuovo corpo, fragile ma indistruttibile allo stesso tempo, libero, fluido. E da quel momento non ho mai smesso di sperimentare e di cercare nuovi metodi per la creazione di questi corpi virtuali.

©Martina Menegon, Untouched, 2022, Metronom, Installation view

©Martina Menegon, Untouched, 2022, Metronom, Installation view

GC:. Un altro aspetto che emerge dalla tua pratica è un percorso di continua traduzione dell’opera. Ad esempio per Metronom hai sviluppato una video scultura a cui però si unisce anche un QRCode per osservare altre sue iterazioni. Si potrebbe dire che ogni intervento si inserisce in un processo di metamorfosi più ampio.

MM: Assolutamente. Ho sempre visto i miei lavori come processi, senza una fine chiarissima e dunque come hai suggerito in continua metamorfosi. Inoltre mi piace lavorare “site-specific” sia nelle realtà virtuali che fisiche per cui spesso e volentieri i miei lavori si adattano ai diversi spazi e a diverse possibilitá installative. Il lavoro presentato a Metronom è un esempio perfetto! Si tratta infatti di una scultura in Realtà Aumentata – un selfie tridimensionale creato tramite tecnica di scansione 3D in cui performo un movimento continuo durante lo scan per creare un corpo virtuale uncanny, grottesco, “glitched”. Tramite il QR Code si può accedere alla scultura virtuale (collezionabile come NFT su versum.xyz) e – con smartphone compatibili – all’opera vera e propria in Realtà Aumentata. L’idea è che questi corpi virtuali possano essere liberi da tutte le limitazioni e confini del mio corpo fisico, e possano esplorare e abitare spazi a me inaccessibili. L’iterazione – o metamorfosi – in formato video è per me una sorta di aggiunta all’opera AR, un dettaglio visivo in movimento del corpo virtuale visibile nella sua interezza solo tramite Realtà Aumentata.

GC: Alcune delle tue sculture digitali sono presenti anche come NFT. Quale è il loro ruolo, a tuo parere, nell’ambito della scultura digitale?

MM: Sophie Kahn, un’artista che ammiro da moltissimo e che continua ad ispirarmi scrisse non molto tempo fa su twitter “I’m interested in AR and NFTs as tools to distribute & view sculpture – a way to expand our understanding of what a sculpture can be”. Esattamente questa ricerca sull’espandere delle possibilità di una scultura virtuale e distribuirla, tramite Realtà Aumentata, nella nostra realtà fisica è una cosa che mi affascina e che voglio continuare ad esplorare. Inoltre mi interessa moltissimo l’idea di unicità nel contesto di edizioni artistiche – soprattutto nell’ambito di NFT. I miei lavori hanno sempre un sistema random che, in qualche modo, sfugge dal mio controllo. Nel caso della serie “untouched” per esempio, l’interazione con il modello 3D ma soprattutto la Realtà Aumentata, permettono di visualizzare l’opera – e dunque ogni edizione – ogni volta in maniera diversa o in posti diversi, creando una sensazione di unicità e intimità con il lavoro.

 

26/05/2022

 

©Martina Menegon, Untouched, 2022, Metronom, Installation view

©Martina Menegon, Untouched, 2022, Metronom, Installation view