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Melissa De Witt

Metronom: Iniziamo dal tuo background, come sei diventata direttore di Hotshoe?

Melissa DeWitt: Ho studiato scultura al St.Martins a Londra e i miei piani erano di diventare un’artista, ma ho iniziato a lavorare in Hot Shoe nel 2003, da appassionata di fotografia mi sono dedicata alla rivista, rilanciandola come contenitore per portfolio o serie fotografiche a tema.

M: La rivista è nata nel 1977 ed è passata per fasi diverse, contenuti diversi, fino al momento in cui è passata di proprietà. Come sei arrivata alla decisione di lavorare con un focus su temi post 2000? 

MDWQuando abbiamo acquistato Hotshoe abbiamo deciso di mantenere il nome ma di attuare un cambio di strategia per quanto riguarda i contenuti: da rivista centrata sull’industria della fotografia a presentazione di lavori fotografici. L’intento era quello di creare qualcosa di accessibile pensando al tipo di rivista che io stessa avrei desiderato acquistare e collezionare. In realtà abbiamo iniziato a lavorare con focus tematici in modo continuativo solo dal 2017, il numero Youth è stato l’avvio di questa netta scelta editoriale, frutto di una evoluzione della rivista che era pronta per questo cambiamento.

 M: A che cosa presti attenzione, che cosa guida la scelte di temi e argomenti da affrontare, alla luce di ciò che accade a livello globale e a ciò che si muove nel contesto della fotografia?

MDW: Cerchiamo di essere sempre molto attenti a ciò che accade intorno a noi. Da Magazine indipendente abbiamo una grande libertà nello scegliere ciò di cui occuparci, per rilevanza e attualità. Siamo sempre stati piuttosto bravi a anticipare tendenze così come a essere la prima ‘vetrina’ per straordinari fotografi. Ad esempio il numero 204: New York Street, che è uscito lo scorso Novembre, include il lavoro di Shawn Walker, uno dei fondatori del collettivo di fotografi African American e di Kamoinge Workshop a Harlem, uno straordinario fotografo ma non internazionalmente noto. Ho appena letto che la Library of Congress in US ha acquisito la sua collezione e che una sua mostra sarà organizzata presto a Londra.

M: In passato avete avviato collaborazioni con altre organizzazioni per produrre un numero in corrispondenza della presentazione di una mostra. Come si inseriscono queste collaborazioni all’interno della linea editoriale di Hotshoe?

MDW: Abbiamo avviato alcune collaborazioni ad esempio con Photo London e Hamiltons Gallery per il numero dedicato a Don McCullin, che ci ha consentito di pubblicare immagini straordinarie che diversamente ci sarebbero state inaccessibili. Abbiamo anche lavorato con The Photographers’ Gallery per la presentazione di Miho Kajioka , alla quale è dedicato il numero 333. Queste collaborazioni ci consentono di entrare in contatto con artisti che non sono rappresentati da noi e di presentarli in un contesto che non è un vero e proprio spazio espositivo, un modo per sperimentare lo spirito di Hotshoe in altri contesti e intorno alla comunità che abbiamo iniziato a costruire intorno alla  galleria che avevamo a Farringdon, contestualmente promuovendo la rivista.

M:Lavorare con un mezzo come quello della fotografia che ha una pratica fluida e sempre più immateriale, quanto è importante per una rivista mantenere una produzione cartacea, cioè andare in stampa?

MDW:Estremamente importante. Libri e riviste sono straordinarie piattaforme per la fotografia, non sono l’unica a pensarlo, in molti casi diventano delle vere opere d’arte, collezionabili. Avere in mano un bel libro o una bella rivista è una esperienza intima che non solo appaga la vista, ma coinvolge tatto e olfatto… una relazione ‘fisica’ che è qualcosa di cui oggi abbiamo tutti bisogno.

Melissa De Witt è direttore editoriale di Hotshoe Magazine e fondatrice di Hotshoe 333 – caffè galleria bookshop- al 333 di Portobello Road, Londra.

©METRONOM e Melissa De Witt
6/04/2020