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METAL ROMANCE | RUBY GLOOM

Metal Romance (2019), di Ruby Gloom mette in scena la complessa relazione fra soggetto e identità virtuale, tra corpo e avatar.

Gloom presenta il proprio alter ego digitale, Ruby, nelle sue dieci differenti versioni: Gloom ha creato la prima digital Ruby nel 2016, e da allora non ha mai smesso di cambiare il suo aspetto, in modo che a poco a poco il pubblico dimenticasse le fattezze dell’artista e potesse riconoscerla solo nella sua versione digitale sui social media.

Tutte le protagoniste di questo Metal Romance hanno un’assoluta indipendenza da Gloom, tanto da avere una propria voce, un proprio carattere e obiettivi propri; si riferiscono a lei come ‘la mia creatrice’, di cui si riconoscono avatar potenziati, migliorati, più liberi. Sono versioni di sé in cui l’artista si riconosce, che approva, che di rimando la fanno sentire a proprio agio: mentre Ruby Gloom è insicura, impacciata e si sente piena di difetti, le digital Ruby sono fiere, libere e le loro cicatrici sono luminose, metalliche e affascinanti. Sono al di là di ogni distinzione di genere, di forma e di organicità: hanno protesi, parti robotizzate, arti meccanici, inserti plastici. Sono cyborg a tutti gli effetti.

Metal Romance è anche l’unico spazio – impalpabile ma non per questo meno efficace – in cui l’artista si concede alla relazione. Con la loro amplificata carica erotica, gli avatar di Gloom navigano anche nel mondo della sessualità virtuale: una dimensione solitaria, spesso fredda che nella frustrazione dell’incompiuto e talvolta dell’autocommiserazione trasmette un totale rifiuto verso ogni relazione biologica e organica. Il corpo infatti non è qualcosa che rimpiangono o vorrebbero avere, si tratta solo di una serie infinita di costrizioni e limiti: la leggerezza del poter ricreare dal nulla nuove versioni di sè non ha prezzo.

 
Ruby Gloom, Metal Romance, 007 _Warmth, 2019
©l’artista
25/11/2020