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Olaf Breuning a Paris Photo 2019: in conversazione con l’artista

>Metronom: Tra una settimana le tue opere verranno esposte a Paris Photo 2019. Che aspettative hai sulla fiera?

>Olaf Breuning: Sono molto contento che il mio lavoro sarà mostrato durante questo evento. Riguardo le mie aspettative sulla fiera, posso dire che, come per la maggior parte degli artisti, le fiere d’arte non sono viste come luoghi particolarmente stimolanti. Per citare John Baldessari: “un artista che va a una fiera d’arte è come un bambino che per sbaglio entra nella stanza dei suoi genitori mentre stanno facendo sesso”. Non potrei esprimermi con parole migliori.

>M: In quanto artista europeo da molti anni residente negli Stati Uniti, come guardi all’attuale panorama dell’arte in Europa?

>OB: Ho lasciato l’Europa venti anni fa, ma penso che il panorama artistico sia uguale in tutto il mondo: ci sono sempre stati e sempre ci saranno artisti che copiano altri artisti, artisti che si rifanno alla storia dell’arte e artisti che cercano di esprimersi usando la propria voce.
Ogni tanto, qualcuno colpisce nel segno e diventa popolare e richiesto, ma spesso il momento di fama ha una durata molto breve. Penso che gli artisti di tutto il mondo abbiano una cosa che in qualche modo li accomuna: riuscire a parlare di qualcosa a cui sono profondamente legati (qualsiasi cosa essa sia!), senza sentire il peso di dover cambiare la storia dell’arte. Il “Monte Everest” dell’arte viene scalato di continuo, ma sembra che ad oggi poco importi il modo in cui si raggiunge la cima. Il mondo è saturo di creatività ed è proprio questo che mi spinge a riflettere sul significato di fare arte e della sua possibile evoluzione.

>M: Pensi che il criticismo che si nasconde sotto tua ironia e sarcasmo siano colti dall’osservatore medio?

>OB: No, ma non mi importa. Per me andrebbe benissimo anche se fosse solo un piccolo gruppo di persone a capire il messaggio presente all’interno dei miei lavori. Molti potrebbero pensare che si tratti solo di sciocchezze, ma neanche questa considerazione mi darebbe problemi. Non creo le mie opere affinché la gente capisca chissà quale messaggio: quello che faccio è per arrivare a capire meglio la mia vita. Si, lo so è estremamente egoista.

>M: Se osserviamo i tuoi lavori e, nello specifico l’opera The Bosch Fridge (2019), possiamo vedere come spesso tu riesca ad unire una citazione della storia dell’arte con le icone della cultura occidentale. Come riesci a mantenere un equilibrio tra il tuo punto di vista e un approccio più critico, presupponendo che ce ne sia uno?

>OB: Sono cresciuto in un’epoca in cui fare della critica era un vantaggio intellettuale. Oggi, invece, sembra che più niente abbia valore. Ci sono troppe voci che criticano e discutono senza interruzione. Il mio punto di vista è il mio punto di vista e niente di più! Il mio obiettivo è quello di, un giorno, potermi guardare indietro e riconoscermi sempre.
Ovviamente non posso negare che mi piace fare esporre le mie opinioni ma cerco sempre di includere con delicatezza questo criticismo all’interno del mio lavoro, consapevole del fatto che la mia voce è una su 7 miliardi. E lo accetto. Sono comunque sempre entusiasta quando qualcuno riesce a comprendere il mio lavoro. È come trovare un amico con il quale navigare l’oceano delle possibilità.

>M: La presenza delle news e della stampa è a tal punto presente nel tuo lavoro da divenirne spesso il soggetto principale: mi riferisco in modo particolare a Black Hole In My Garden (2019). Potresti dirci qualcosa riguardo a quest’opera?

>OB: Quest’opera è la testimonianza che nulla ha ormai più importanza. Lo scatto di un buco nero è sembrato inizialmente un evento straordinario, quasi quanto lo sbarco dell’uomo sulla luna. Ma alla fine, con una tale quantità di notizie che quotidianamente vengono registrate e pubblicate dai mass media, si finisce per parlare del royal wedding piuttosto che concentrarsi sulla portata di questa notizia. Le persone hanno strumenti di comunicazione condivisi, ma non hanno più interessi comuni.
Il rivoluzionario evento di fotografare un buco nero diventa niente di più di un chiacchiericcio nel giro di poco tempo. Se solo si fosse in grado di capire il grande lavoro che sta alle spalle di questa conquista, magari se ne potrebbe capire anche il valore. Tutto ciò mi ha portato a ricreare un finto buco nero all’interno del mio giardino, giusto per mostrare com’è facile farne una fotografia. Ed è proprio qui che sta la mia ironia per chi riuscisse a capire il mio linguaggio!

>M: La fotografia sembra essere un tuo tratto fondamentale: che importanza ha la fotografia nella tua produzione artistica?

>OB: Ho studiato per otto anni fotografia e ho iniziato la mia carriera come un artista che produceva fotografie di grande formato. Penso che la fotografia, come medium, resterà sempre la mia casa, il “mio amore” se vogliamo essere romantici.

>M: A Parigi esporrai per la prima volta la nuova serie di Faces (2019), i cui lavori sono contenuti anche all’interno del catalogo omonimo: qual è stato lo stimolo alla base di questo progetto? Come e perché hai scelto la forma finale a griglia?

>OB: Sei anni fa mi sono inscritto a Instagram dopo che molti dei miei amici lo stavano già usando. Io non volevo essere il classico tipo strano che segue le persone ma non pubblica mai niente: così ho iniziato a scattare Faces. Durante gli anni ho ricevuto sempre maggiore attenzione da parte del pubblico, e questo è stato uno stimolo per farmi prendere più seriamente quello che stavo facendo. Mi è sempre piaciuto scovare e ricreare facce senza uno scopo preciso, ma dopo aver visto la pubblicazione di Facessono davvero molto contento di aver dato un forma materiale a questa mia passione.
La scelta della griglia è stata abbastanza facile: da una parte non volevo esagerare con il formato dell’immagine, dato che sono tutti scatti fatti con il mio telefono, dall’altra penso che stiano bene in questa forma, l’uno vicino all’altro. Fino ad ora ho dovuto scegliere tra 900 fotografie e penso che continueranno ad aumentare. La griglia, quindi,  si presenta come un’ottima soluzione per metterle in mostra, dando non solo la possibilità di variare sulla dimensione finale ma anche un’infinita scelta di combinazioni. Vediamo come si svilupperà il progetto. Paris Photo 2019 è il primo banco di prova.

>M: Prendendo in esame la relazione tra arte e comunicazione: che influenza ha Instagram sulla tua pratica artistica? Inoltre, qual è la tua relazione con i social networks?

>OB: Come la maggior parte delle persone ad oggi, spesso mi chiedo “ma come siamo arrivati a tutto questo?”. Il primo iPhone è stato presentato da Steve Jobs solamente dodici anni fa. Oggigiorno non possiamo più vivere senza. Allo stesso modo Instagram, e i social media in generale, sono diventati i mezzi con cui comunichiamo. Tutti noi ne facciamo uso ma non abbiamo neanche il tempo di fermarci per pensare al loro impatto. Già ora è complicata la decisione se essere “in” o “out”. Riguardo al mondo artistico è facile vedere come ci siano state delle ripercussioni soprattutto prendendo in considerazione la fotografia professionale, la pubblicità e il mondo dell’arte in generale. È davvero interessante pensare a quello che potrebbe succedere in futuro. Spesso mi soffermo a pensare al passato e a chiedermi: “come era New York al mio arrivo? Le persone andavano davvero in giro per strada senza guardare il telefono?” e onestamente non saprei dire se la situazione fosse in qualche modo migliore. Internet ha portato molti vantaggi, ma simultaneamente anche una perdita della qualità, ma penso che questo sia il solito problema che ogni rivoluzione tecnologica porta con sé. E noi sicuramente ci troviamo in mezzo ad una nuova.
In conclusione, penso che abbiamo solo bisogno di un po’ di tempo per sederci e mettere ordine. Forse, però, non c’è neanche il tempo per farlo considerando la velocità con cui gli  avvenimenti si susseguono. Il dato rassicurante è che solo il 40% della popolazione è online. Fatto, questo, alquanto impensabile per noi “iPhone dipendenti”.

© Olaf Breuning / Courtesy METRONOM

6/11/2019